Page 13 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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ALLE RADICI DELL’ OPERA DA TRE SOLDI :
DALLA BEGGAR’S OPERA
ALLA DREIGROSCHENOPER
di Flavia Foradini
La Berlino degli anni Venti del XX secolo era una capitale
pulsante. E lo era a dispetto dell’enorme peso delle
indennità di guerra imposte dagli Alleati alla Germania con
il trattato di Versailles, e nonostante i molti conflitti sociali e
la crescente radicalizzazione politica. Hitler e i suoi accoliti
potevano apparire ancora arginabili: dopo il fallito Putsch
del 1923, anche nelle elezioni del 20 maggio 1928 i
nazionalsocialisti ottennero solo il 2,6% dei voti, mentre
oltre il 40% dei suffragi andò ai partiti di sinistra.
Anche l’internazionale catastrofe economica del martedì
nero del 29 ottobre 1929 era sì all’orizzonte, ma ancora di
là da deflagrare.
L’ambiente letterario e artistico fioriva. Si guardava al
mondo con disincanto attraverso il filtro della Nuova
Oggettività, e attraverso le caustiche raffigurazioni della
realtà proposte da Otto Dix, George Grosz, John
Heartfield. Il teatro godeva di un vasto interesse popolare.
Max Reinhardt regnava sui palcoscenici di lingua tedesca.
Erwin Piscator sperimentava in direzione di una
drammaturgia fortemente politica.
Sullo sfondo di una vita personale turbolenta, e di
un’immersione nelle teorie marxiste, Brecht era ben
inserito in quelle effervescenze culturali, politiche e
artistiche berlinesi.
Dopo vari soggiorni sull’onda dei suoi primi successi
letterari e teatrali, dal 1924 si era trasferito definitivamente
da Monaco alla capitale, diventando subito Dramaturg al
Deutsches Theater di Max Reinhardt, e coltivando proficui
rapporti con varie case editrici.
La sua aria maudit, evocata da sigaro tra i denti, coppola
tirata sulla fronte e giacca di pelle, era ormai una sorta di
marchio di fabbrica della sua già distinta notorietà.
In quella cornice di stimoli a tutto campo, Brecht stava
mettendo a punto anche una nuova forma di teatro per il
“nuovo tipo di uomo” di quegli anni ruggenti, da
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DALLA BEGGAR’S OPERA
ALLA DREIGROSCHENOPER
di Flavia Foradini
La Berlino degli anni Venti del XX secolo era una capitale
pulsante. E lo era a dispetto dell’enorme peso delle
indennità di guerra imposte dagli Alleati alla Germania con
il trattato di Versailles, e nonostante i molti conflitti sociali e
la crescente radicalizzazione politica. Hitler e i suoi accoliti
potevano apparire ancora arginabili: dopo il fallito Putsch
del 1923, anche nelle elezioni del 20 maggio 1928 i
nazionalsocialisti ottennero solo il 2,6% dei voti, mentre
oltre il 40% dei suffragi andò ai partiti di sinistra.
Anche l’internazionale catastrofe economica del martedì
nero del 29 ottobre 1929 era sì all’orizzonte, ma ancora di
là da deflagrare.
L’ambiente letterario e artistico fioriva. Si guardava al
mondo con disincanto attraverso il filtro della Nuova
Oggettività, e attraverso le caustiche raffigurazioni della
realtà proposte da Otto Dix, George Grosz, John
Heartfield. Il teatro godeva di un vasto interesse popolare.
Max Reinhardt regnava sui palcoscenici di lingua tedesca.
Erwin Piscator sperimentava in direzione di una
drammaturgia fortemente politica.
Sullo sfondo di una vita personale turbolenta, e di
un’immersione nelle teorie marxiste, Brecht era ben
inserito in quelle effervescenze culturali, politiche e
artistiche berlinesi.
Dopo vari soggiorni sull’onda dei suoi primi successi
letterari e teatrali, dal 1924 si era trasferito definitivamente
da Monaco alla capitale, diventando subito Dramaturg al
Deutsches Theater di Max Reinhardt, e coltivando proficui
rapporti con varie case editrici.
La sua aria maudit, evocata da sigaro tra i denti, coppola
tirata sulla fronte e giacca di pelle, era ormai una sorta di
marchio di fabbrica della sua già distinta notorietà.
In quella cornice di stimoli a tutto campo, Brecht stava
mettendo a punto anche una nuova forma di teatro per il
“nuovo tipo di uomo” di quegli anni ruggenti, da
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