Page 8 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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MARCO CASTELLARI
Il giovane di successo non può che mirare alla capitale e
in effetti, nei primi anni Venti, si sposta fra la Baviera e
Berlino fino a stabilirsi definitivamente sulla Sprea. Della
straordinaria fioritura artistica e culturale e dell’agitata vita
politica della metropoli Brecht è parimenti protagonista.
Con Uomo è uomo (1926), Ascesa e caduta della città di
Mahagonny (con Kurt Weill, 1927-30) e soprattutto con
L’opera da tre soldi (con Weill, 1928) conquista i teatri, di
prosa e musicali, e ottiene una capillare presenza
mediatica che gli conferisce, fra l’altro, la piena
indipendenza economica. Con le poesie del Libro di
devozioni domestiche (1926) e di raccolte successive, che
contengono anche i songs operistici divenuti presto
celeberrimi, Brecht si afferma come il maggior lirico
tedesco dell’epoca. La prosa saggistica e narrativa
completa una produzione letteraria che fin dagli anni di
Weimar si distingue per qualità, ampiezza e attualità.
Proprio dal lavoro al Mahagonny e all’Opera da tre soldi
scaturiscono le prime formulazioni teoriche sul “teatro
epico”, per Brecht unica convincente forma drammatica e
scenica per il mondo contemporaneo ( Il teatro moderno è
il teatro epico, dette anche Note a Mahagonny , 1930).
Dalla pratica della collaborazione fra scrittore e
compositore – nel segno del multiplo talento di entrambi –
e della produzione collettiva con vari collaboratori (non
solo donne, come una certa mitografia tende a sostenere)
si sviluppa dunque l’ estetica del teatro brechtiano. Anche
quando, in anni parecchio successivi, Brecht giungerà a
dare aspetto sistematico alla sua teoria ( Breviario di
estetica teatrale , 1948), essa rimarrà subordinata al
concreto lavoro in team, attorno al testo drammatico e
alla rappresentazione teatrale, e secondaria rispetto
all’efficacia sul pubblico, che porta ad aggiustamenti e
finanche sconfessamenti. Di tale apertura e vitalità assai
poco rimarrà nell’ortodossia brechtiana postuma, specie
in terra tedesca. Al contrario sarà il regista italiano Giorgio
Strehler a interpretarne e attualizzarne l’eredità profonda –
non a caso poco prima della morte, dopo aver assistito
alle prove e alla messinscena della prima Opera da tre
soldi del grande triestino (Piccolo Teatro di Milano, 10
febbraio 1956), Brecht scriverà a Strehler,
trentacinquenne, di volergli affidare tutta la sua opera per il
futuro, come in un passaggio di testimone perché non si
perda quella dialettica di modello e variazione che è al
centro del continuo esperimento della sua arte.
Lo slancio provocatore e rivoluzionario del Brecht
trentenne, per tornare ai tardi anni Venti, è la risposta alle
sfide della modernità. Di fronte ai nuovi linguaggi artistici e
alle nuove forme di comunicazione egli diagnostica la fine
di una cultura elitaria, come più tardi Walter Benjamin, e
l’urgenza di una riforma delle arti rappresentative e dei
‘vecchi’ media – allo scopo, nota bene, di potenziarli e
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