Page 15 - MANGIAFOCO
P. 15
L’ATTORE E IL SUO FUOCO
Forse ritrovare il filo che ci lega a una sapienza antica
trasmessa attraverso i gesti, la voce, la scrittura di chi ci
ha preceduto, può inceppare, almeno un poco,
l’ingranaggio. In queste prove convivono le parole del
presente con frammenti di Pirandello, Shakespeare,
Ibsen, Čechov, Leopardi, Pasolini, ma anche dei nostri
maestri di teatro: presenti accanto a noi, contribuiscono
a rendere manifeste quelle trasformazioni che forse sono
già in atto ma che non riusciamo, nell’affastellarsi della
vita quotidiana, a comprendere e ad assecondare. Sto in
ascolto, vestita di carta, tra ghiaccio e fuoco.
Come un eterno ritorno
di Marco Manchisi
Esiste una linea di confine molto sottile, quasi invisibile, che
divide la vita privata di un artista, da quella creativa e
pubblica. Trovarsi al di là o al di qua di quella linea è un
attimo, un soffio e le due vite portano inevitabilmente con sé
ognuna parte dell’altra. Il fuoco della creatività coinvolge a
tal punto, che finisce per assorbire sensibilità, emozioni e
visioni della vita privata, così che le doppie identità si
confondono tra loro, si nutrono a vicenda e,
necessariamente, vanno a completarsi.
Mi sovviene una frase di Antonio De Curtis, in arte Totò,
quando, a proposito dell’essere comico afferma: «Io so a
memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera
comicità. Non si può far ridere se non si conoscono bene il
dolore, la fame, il freddo, l’amore della speranza, la
disperazione della solitudine di certe squallide camerette
ammobiliate, alla fine di una recita in un teatrucolo di
provincia; e la vergogna per i pantaloni sfondati, il desiderio
di un caffellatte, la prepotenza esosa degli impresari, la
cattiveria del pubblico senza educazione. No, non si può
essere un vero attore comico, senza aver fatto la guerra con
la vita…» Vivere nello spettacolo Mangiafoco è per me
come galleggiare in un liquido amniotico, nel quale rifletto
sul rapporto tra vita e teatro, dove le due condizioni vanno a
confrontarsi, a riflettersi, in un corpo a corpo tra persona e
personaggio, che vicendevolmente si chiedono “cosa e
quanto vuoi da me?” Nel teatrino di Mangiafoco si recita, i
burattini fingono vita, chiedono pietà per non morire e,
come fanno gli attori in carne ed ossa, cambiano volto, si
trasformano, ed è cosa necessaria per poter rinascere ogni
volta e tornare a vivere con rinnovata energia. Gli attori,
come Pinocchio, sono la metafora di un ciclo, tra vita e
morte, tra un sipario che si apre e uno che si richiude, in un
eterno ritorno alla scena delle verità e delle finzioni, in
un’organica circolarità. Poi esiste un terzo polo, costituito
dal mondo esterno, in cui emerge l’aspetto cupo di
15