Page 10 - MANGIAFOCO
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CONVERSAZIONE CON ROBERTO LATINI

                               Che ruolo giocano scene e costumi?
                               La scenografia deve essere il teatro stesso, o meglio,
                               mettersi in una disponibilità. Si tratta di elementi scenici
                               (di Marco Rossi, n.d.r.) che possano in qualche modo far
                               da specchio alla struttura, ma anche riflettere le
                               sfumature di quelle che sono le architetture teatrali.
                               Per architettura intendo in questo anche le dinamiche tra
                               gli attori, quel che è intessuto; e veniamo quindi ai
                               costumi (di Gianluca Sbicca, n.d.r.) che sono, nella
                               massima espressione del finale, fatti di carta. È un
                               materiale che, sottoposto al fuoco, come al ghiaccio,
                               andrebbe ad esser distrutto...

                               Torna anche Arlecchino, forse da Teatro comico,
                               ma qui bianco, un Arlecchino che non ha colore,
                               come una cartina “muta”…
                               Arlecchino è quello che troviamo nel teatro e nella scena
                               in cui siamo entrati… nella scena in cui anzi entriamo
                               ulteriormente perché quello scivolo lì è già “dentro”, ma
                               ci serve a scivolare all’interno dell’architettura dello
                               spettacolo. Non ha valenza in quanto oggetto, ma ha un
                               ruolo drammaturgico.
                               Perché Mangiafoco e non Pinocchio, perché
                               l’omone che incute timore e non il burattino che fa
                               tenerezza?
                               L’omone siamo noi, noi in scena, il bruto che custodisce
                               una sensibilità che arriva fino allo starnuto... Mangiafoco
                               riconosce in Pinocchio qualcuno della famiglia.
                               Ho sempre pensato che Pinocchio potrebbe essere più
                               figlio suo che di Geppetto: il burattinaio lo accoglie come
                               il figlio tornato a casa, poi lo lascia libero di andare per la
                               propria strada, come ogni genitore dovrebbe fare.
                               Lo accolgono come fratello Arlecchino e Pulcinella…
                               È come se, tutti insieme, costituissero un nucleo
                               familiare primigenio.

                               C’entra qualcosa anche il fuoco della passione
                               teatrale?
                               Ognuno di noi ha il proprio grande teatrino, maneggia e
                               si nutre del proprio fuoco. È il fuoco dell’arte, certo, della
                               passione teatrale di Jouvet... Sono anche le fiamme
                               insufficienti a cuocere il montone che Mangiafoco
                               vorrebbe pronto ma di fatto è ancora immangiabile:
                               gettare Pinocchio nel fuoco, buttarci Arlecchino, la
                               minaccia che incombe su quei burattini, è la stessa che
                               viviamo noi, attori ed esseri umani.

                               Passare attraverso il fuoco serve a forgiare
                               un’identità?
                               Il fuoco è metamorfosi costante, come lo è Pinocchio, al

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