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CONVERSAZIONE CON ROBERTO LATINI

                               In verità qui il gioco si fa ancora “più spinto”: gli
                               attori non stanno provando uno spettacolo.
                               Lo spettacolo prende vita partendo dalla fase
                               precedente, dal presentarsi in scena raccontando
                               qualcosa di sé…
                               Credo faccia parte dell’essere attore essere anche
                               burattinaio di se stesso, cioè essere qualcuno che si
                               mette in scena. Durante uno spettacolo, esiste sempre
                               una parte di noi che è condotta, dall’autore, dal regista,
                               dalla storia, e una che invece è libera. Il fulcro è in quel
                               passaggio tra ciò che è nella libertà, nella disponibilità,
                               nella cura, nella sensibilità di ogni attore e quanto invece
                               deve poi fare i conti con quello che s’ha da fare, con
                               quello che è il copione, che sono le indicazioni
                               dell’autore e del regista. Nella mia visione, gli attori sono
                               sempre liberi, se non nell’agire la scena, nel reagire alla
                               scena. È dalla loro reazione allo spettacolo, agli
                               spettatori, a quel silenzio che rimbalza indietro dalla
                               platea, che scaturisce la scintilla teatrale. Rompere il
                               silenzio è una responsabilità enorme, ogni volta che un
                               interprete va a pronunciare una parola, a compiere un
                               gesto, a respirare. Il teatro è anche questo: un rito del
                               silenzio, un luogo dove ci si reca per stare in silenzio in
                               coro; quindi la disponibilità che offriamo, da spettatori,
                               agli attori, si manifesta nel patto che esiste in relazione a
                               quel silenzio. Può sembrare un gioco di parole, ma la
                               “stonatura”, in uno spettacolo, interviene quando non
                               esiste l’accordo, nel senso musicale del termine, rispetto
                               a quel patto. Mangiafoco porta in scena anche la
                               personalità di ciascun interprete, raccontata attraverso
                               una biografia che è frutto di una selezione prodotta da
                               ognuno di loro all’interno del proprio vissuto, al di là degli
                               episodi che diventano aneddotica. Mi interessa la
                               scrittura rispetto a se stessi, l’atto di pronunciare il
                               proprio nome e cognome, il racconto delle proprie origini
                               artistiche e come, da quella partenza, si sia giunti fin qui.

                               Nel loro raccontarsi, gli attori si rivolgono a un
                               finto pubblico che indossa la maschera di un noto
                               personaggio dei fumetti. Perché?
                               Gli ascoltatori mascherati sono lo specchio sublime,
                               come livello più alto di bellezza. Si va di fronte a quel noi
                               potenziale, irreale, eppure possibile. In realtà non di una
                               vera audizione si tratta, anche se il meccanismo è
                               quello, non è un provino: è come se ognuno avesse
                               portato con sé elementi intercettati lungo il proprio
                               cammino. È l’attore che costantemente ha a che fare
                               con il proprio fuoco, lo mangia, ci si relaziona, in quella
                               metamorfosi che è il nucleo della sua storia: «non sono
                               lo stesso attore di vent’anni, di dieci anni fa, neanche
                               quello della scorsa stagione, né sono quello che sarò fra

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