Page 18 - MANGIAFOCO
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ognuno di noi reca con sé e pone davanti a sé, davanti al
pubblico. Non fa paura: al contrario, ci è sembrato naturale
portarlo a mani nude, perché è un elemento, una parte di
noi, dalla quale non intendiamo distanziarci. Il gelo è spesso
la conseguenza di paura e indifferenza: invece accogliere
quel ghiaccio, tenerlo in grembo, per poi proporlo e lasciarlo
lì, come proprio sembiante, è un modo per farci i conti, per
accettarlo. Tanto, prima o poi, quel ghiaccio si trasformerà,
avrà un’altra vita e un’altra forma, cambierà stato, si
scioglierà, ma forse tornerà nuovamente a congelarsi, in
una continua metamorfosi, che è il senso stesso della vita.
Un passo nell’altrove dell’immaginazione
di Marco Sgrosso
Per me Mangiafoco rappresenta il buco nero del teatro, la
bocca oscura del palcoscenico che divora e ingloba l’attore.
E quindi lo spaventa, come fa, appunto, Mangiafoco con i
suoi burattini; ma al tempo stesso lo assorbe, nutre la sua
anima e diventa l’imperativo sommo, di fronte al quale non
esiste altra risposta possibile che il piacere di mettersi in
gioco, per cercarla e seguirla nelle sue evoluzioni, questa
fragile, preziosa “animula vagula blandula”.
Nel racconto di Collodi, Mangiafoco incontra Pinocchio e si
commuove, starnutisce e decide di sacrificare un altro
burattino al posto suo, forse perché Pinocchio gli ha
toccato l’anima, scoprendogli inaspettatamente la sua,
intrappolata nel legno. È esattamente quello che accade
quando si va in scena: si ha paura, il sangue si agita nelle
vene ma al tempo stesso si percepiscono il grande
abbraccio e il calore del palcoscenico, il profumo di chi è
passato da lì prima di noi e la possibilità di fare un passo
nell’altrove dell’immaginazione. Là ci si può fingere ciò che
non si è, riuscendo così ad essere ancora di più quello che,
forse, siamo nel profondo. La stessa cosa avviene
indossando la maschera, che, nell’occultare il volto, svela la
dinamica del corpo. Così, nel mascheramento e nella
rivelazione che ha comportato per ognuno di noi la ricerca
del proprio Mangiafoco, il lavoro di Roberto sui tre capitoli
del Pinocchio si è trasformato nel riverbero di quelle pagine,
rinunciando al racconto della vicenda per aprire una via
all’immaginazione. E alla memoria, a cominciare dai tanti
nomi che risuonano, portando in scena ognuno il proprio
universo. Per me lavorare con Roberto – prima ne Il teatro
comico e adesso in Mangiafoco – è stato un ritorno alla
memoria degli anni con Leo de Berardinis, con cui ho
condiviso la scena per quindici anni. Quando iniziai con lui, il
teatro era per me una continua scoperta. Nella
collaborazione con Roberto, mi piace lasciar rivivere quel
me stesso che ricomincia da lì e si rimette in gioco, ma con
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