Page 20 - MANGIAFOCO
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L’ATTORE E IL SUO FUOCO

                               istruisca, li guidi e insegni loro a muoversi nell’invisibile: è
                               una dote che possiedono naturalmente e che, purtroppo,
                               smarriscono crescendo, maturando e imparando a vivere
                               secondo le regole che la vita impone. Al sesto spettacolo
                               sotto la guida di Roberto Latini, capisco che “essere
                               Mangiafoco” è la condizione che si realizza ogni volta che
                               scelgo, finalmente, di abbandonare qualsiasi idea
                               preconcetta per esplorare l’invisibile e lanciarmi al di là delle
                               mie sicurezze. Come attore è sempre difficile compiere
                               questo passo e gettarmi nel vuoto, senza rete, perché,
                               soprattutto quando si lavora in teatro da qualche anno, è
                               inevitabile tendere a costruirsi una gabbia, una casa, che,
                               mattone per mattone, è fatta delle proprie personali
                               certezze, delle cose che si conoscono e che regalano
                               sicurezza. Quando si compie il gesto di abbattere tutto, di
                               radere al suolo quell’edificio, scompare ogni appiglio e si
                               naviga nel vuoto. Per contro, sono tante le porte che si
                               aprono su quel nulla; esiste la gioia di una riassaporata
                               libertà, l’entusiasmo di affrontare le prove, insieme, senza
                               sapere che cosa accadrà, senza dover leggere un libro già
                               interamente scritto.
                               Il fuoco, la fiamma che arde, secondo me, appartiene a tutti
                               noi in quanto persone. Semmai la questione è avere la
                               fortuna di trovare il combustibile giusto, sapendo che non
                               sarà mai lo stesso: la complessità del lavoro con Roberto
                               consiste nello smantellamento di tutte le griglie di
                               protezione, nel continuo opporsi a una confezione, a una
                               costruzione che imprigioni l’attore nelle sue certezze. Non
                               mangeremo mai lo stesso fuoco: dobbiamo sforzarci di
                               rinnovarlo, di riaccenderlo sempre e sempre diverso.
                               Il ghiaccio è l’antitesi di tutto quello che ho detto. È una
                               “zona” che psicologicamente trovo destabilizzante. Perché
                               è dove la fiaba si congela; perché il mio congelamento,
                               come individuo e come attore, coincide con la perdita delle
                               chiavi di accesso al gioco. È la perdita, la rinuncia al mio
                               essere bambino. Se vogliamo leggerlo in chiave più ampia,
                               molto banalmente, per scongelarsi, ciascuno di noi
                               dovrebbe spegnere la televisione e tornare a porsi
                               nell’attesa di qualcosa che giace nel profondo della sua
                               stessa natura, andare in cerca di quella fiamma che dorme.
                               Il ghiaccio, purtroppo, sono anche i corsi e ricorsi storici, le
                               situazioni che non avremmo voluto più incrociare sulla
                               nostra strada e che puntualmente si ripetono. È la
                               negazione dell’umano, della vita che scorre e che arde.










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