Page 16 - MANGIAFOCO
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Mangiafoco, che ha bisogno di potere, di sistemi e ordini
burocratici, e che rischia di farti vacillare facendoti chiedere
«Per quale ragione ho deciso di dare anima e corpo a
questo lavoro? Fino a che punto la mia creatività è pura e
necessaria a se stessa, a me che la esercito o a chi ne
gode osservandola? E fino a che punto invece è irretita e
guidata dalle maglie e dalle convenzioni di questo potere?»
La risposta è, ogni volta, dentro l’animo di ognuno, spesso
tra contraddizioni e paure che portano a scelte di
convenienza, o, accompagnata da certezze e convinzioni, a
sostenere decisioni coraggiose e consapevoli.
La presenza del ghiaccio, in questo spettacolo, per me
simboleggia l’attore che lentamente si scioglie con lo
scorrere del tempo, fino alla fine della sua recita. Tuttavia
questo scioglimento non è che una trasformazione verso
un’altra vita, una nuova esistenza, una nuova scena, un
nuovo personaggio, una nuova condizione da conoscere,
amare e poi trasformare ancora, così com’è nella natura di
ciò che ci è dato di percepire.
Recitare è stare in bilico per sentirsi vivi
di Savino Paparella
Il fuoco è la persona, l’attore e l’individuo. I mangia-foco
sono le tante cose che vanno a divorare quella fiamma: il
testo, il ruolo, l’interpretazione… Spesso si fa fatica a
mantenere a fuoco se stessi pur continuando a relazionarsi
con tutti gli elementi che ho menzionato: mangiafocosità,
quindi, è riuscire ad avere fiducia in una certa propria natura
che, per quanto possiamo allontanarcene, resta sempre
l’entità con cui fare i conti. Ma è anche il tragitto che ci ha
portato dove siamo – e che ognuno di noi riassume in
scena nel corso dello spettacolo, raccontandosi al pubblico
– è l’evoluzione dalla prima all’ultima recita, già superata
quando cala il sipario, perché di nuovo tutto sta per
cambiare. Credo che il mio Mangiafoco, alla fine, sia io
stesso, con tutta la serie di relazioni che ho avuto la fortuna
di intrecciare nel mio cammino… sono tutti i registi e
collaboratori di cui mi sono dovuto “innamorare”, ai quali mi
sono dovuto legare, ma dai quali, poi, altrettanto
necessariamente, mi sono staccato, in un continuo
allacciarsi e liberarsi dagli altri che è obbligatorio e
inevitabile, in teatro, per preservare la fiamma che alimenta
l’artista. Il ghiaccio è la negazione di tutto: è la battaglia che
sostengo quotidianamente per non congelarmi, è la lotta
con il trascorrere del tempo, con l’avvicendarsi delle
esperienze, bellissime, che forse, a volte, fanno più male dei
fallimenti; è la sfida, continua, a non fermarsi, a non fissarsi
in un «tu sei così, sei quella persona, sei quell’attore e
nient’altro». Ciascuno di noi, individuo e attore, vive perché
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