Page 52 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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DAVIDE VERGA
cambiamento di scena – si legge in una recensione del
settembre 1956 –, il pubblico inquieto là sulla piazza
deve essere calmato: una bella ragazza viene mandata
avanti a cantare accompagnata dal mandolino». Alcuni
credettero di ascoltare le canzonette originali dei Comici
dell’Arte, altri le ritennero – come scrisse un giornale
americano nel 1960 – “Venetian popular songs”: in
verità, dietro la spontanea freschezza di quei motivi, si
celava la mano esperta di Fiorenzo Carpi, bravissimo a
offrire uno squarcio di melodia popolare al di fuori del
tempo. Un delicato continuum sonoro realistico
s’innesta così nella messinscena, ora fertilizzandola col
brio vezzoso di Quando che vien le gondole, ora
infiammandola dell’allegria paesana di Benedetto sia
l’autunno, ora dando voce attraverso Gero al bancheto
alla mesta rassegnazione di chi è sottoposto alle
angherie dei potenti. Si racconta, più nel profondo, la
fragile vitalità dei Comici dell’Arte e, con loro, del ceto
dei più deboli.
Quando che vien le gondole Se la musica di Quando che vien le gondole, composta
coi lumi sulle felse con un andamento da minuetto e la galanteria lieve del
xe quasi Carneval. ritmo puntato, brilla di una grazia squisita, il testo della
Calli e campielli sluseno,
fiole e putele zoveni canzone, probabilmente redatto da Strehler, è non
non fan che cambiar maschere: meno raffinato: i settenari (molti gli sdruccioli, quasi a
xe el tempo dell’amore; cullare l’ondeggiare delle gondole) dipingono con tratti
xe el tempo delle maschere, vivi e delicati la Venezia del Carnevale. E, nel contempo,
delle promesse inutili, alcuni dei temi principali dell’Arlecchino – le “promesse
delle parole futili inutili” e le “parole futili” di Clarice, ma soprattutto la
dette cussì per dir.
sfera della maschera, del travestimento, e quella
dell’amore – vi si riassumono intrecciati, esattamente
come accade nel corso della commedia. Non stupisce
perciò che Quando che vien le gondole venga intonata
da Smeraldina dopo che Beatrice en travesti ha rivelato
a Brighella i suoi piani mossi dall’amore; e, se questa è
la canzone della maschera e delle trame amorose, ben
si addice che la sua melodia, in forma strumentale, torni
a farsi udire una seconda volta proprio nel momento in
cui, con lo scioglimento della commedia, Beatrice entra
finalmente in scena in panni femminili, rivelando coram
populo la propria identità e gioendo per il ritrovamento
di Florindo.
Benedetto sia l’autunno, Delle canzoni dell’Arlecchino, Benedetto sia l’autunno è,
questo è proprio il vero tempo di contro, quella che più d’ogni altra si fa portavoce
de magnar i bei maron. dell’allegria popolare: non è un solista a intonarla, bensì
Qua ghe tanti, son seguro,
che dirà questa rason. uno sparuto ma vivacissimo coro (Brighella ne è
O magari ghe n’avessi sovente il direttore) cui partecipa gran parte degli attori
cussì piccolo piaton: coinvolti nello spettacolo. Il ritmo, rumorosamente
me vien proprio l’acqua in bocca scandito dalla grancassa suonata in scena e col fragore
solamente a nominar delle trombe a raddoppiare le voci, evoca la gioiosità
questa piccola fridura irruenta di una festa paesana, celebrando la schietta
che go voja de magnar.
ossessione del “magnar”, che di Arlecchino è tratto
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