Page 50 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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DAVIDE VERGA
                               Dal debutto all’incontro con Brecht
                               Come Strehler ebbe a dichiarare, la prima messa in
                               scena dell’Arlecchino nel luglio del 1947 fu una sorta di
                               «inno gioioso di liberazione e di felicità di esistere», il
                               tentativo di rivitalizzare il presente ferito dalla guerra
                               attraverso un ritrovato contatto con le proprie radici
                               culturali. Sebbene non sia facile, dopo settant’anni,
                               risalire alle tracce che tale lettura registica dovette
                               lasciare sulla partitura composta da Fiorenzo Carpi per
                               quel primo Servitore di due padroni, è assai verisimile
                               che nella messinscena del 1947 e così pure nella
                               riedizione del 1952 vi fossero soltanto musiche
                               strumentali. Partiture non ne sono pervenute, ma le
                               recensioni dell’epoca accennano a musiche «gustose»,
                               «delicate», «indovinate». E, benché di qualche anno
                               posteriore, la versione dell’Introduzione che
                               accompagna i titoli di testa nella ripresa dello spettacolo
                               registrata in studio dalla RAI nel 1955 sembra suggerire
                               che per le prime due edizioni dello spettacolo Carpi
                               avesse composto musiche dal sapore settecentesco,
                               riplasmando le forme della tradizione con un mite e
                               ironico piglio neoclassico: un organico cameristico di
                               archi e fiati, il ritmo di un’elegante e briosa gavotta, una
                               scrittura musicale assai ricca che, occhieggiando allo
                               Stravinsky di Pulcinella, procede in perfetta sinergia con
                               un’impostazione registica in cui centrali erano
                               l’esaltazione gioiosa del gioco teatrale e la sua
                               stilizzazione.
                               Com’è noto, nel 1956, in occasione della terza edizione
                               dello spettacolo (la già citata Edizione di Edimburgo), la
                               lettura strehleriana dell’Arlecchino subì però una vera e
                               propria svolta. A Strehler, appena reduce dalla sua
                               prima regia dell’Opera da tre soldi, dovette palesarsi
                               allora l’intuizione di un accostamento esegetico che in
                               futuro l’avrebbe sempre accompagnato, ovvero
                               l’individuazione di una peculiare vicinanza tra Brecht e
                               Goldoni: «Li accomuna la viva, profonda curiosità e
                               capacità di “fare teatro” legata alla molteplice realtà
                               della vita che passa intorno a loro e di concepire il
                               teatro non come luogo immobile, ma come luogo di una
                               dinamica storica che si muove con personaggi
                               totalmente umani e perciò stesso ricchi, contradditori,
                               veri». Proprio all’incontro con Brecht pare dunque lecito
                               ricondurre non poco del radicale ripensamento cui
                               Strehler sottopose l’Arlecchino allestendo l’Edizione di
                               Edimburgo; la dimensione umana della pièce
                               goldoniana ne uscì infatti notevolmente accresciuta e
                               storicizzata: nella nuova impostazione registica (che
                               sostanzialmente ancora perdura nelle riprese odierne)
                               alla trama dell’Arlecchino si affianca uno spaccato di
                               vita dei Comici dell’Arte, indagati nel loro “essere” nella

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