Page 53 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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LA MUSICA DI ARLECCHINO
                               distintivo, quasi antropologico. Non vi è spazio per
                               finezze esecutive: è un canto a squarciagola, rozzo nella
                               sua esplosione di vitalità, al punto che “Il suggeritore”
                               dell’Edizione del 1963 avrebbe dovuto urlare ai coristi:
                               «Fe’ più pian! Fe’ più pian! I siga che i par mati!».
       Gero al bancheto che lavorava,  Quanto a Gero al bancheto, basta ascoltare con
       no me pensava de la preson,  attenzione il suo testo per accorgersi che è ben più di
       xe venio i sbiri de sbiraria  un inserto musicale richiesto da un cambio di scena.
       menarme via senza rason.  Strehler, nello stenderne i versi, si è rifatto a un canto
       Cossa go fato mi non so niente,
       so ghe dormiva sora un bancon,  popolare veneziano in cui si narra di un uomo che,
       so che la luse mi non vedeva  senza sapere perché, si ritrova in prigione e si rende
       cussì son morto senza rason.  conto che lì finirà i suoi giorni. Il testo originario viene
                               nell’Arlecchino sintetizzato in soli otto versi, divenendo
                               ancora più cupo: quella che era una morte tra le sbarre
                               solo preconizzata è ora una morte avvenuta; ed è
                               dunque lo spirito del povero innocente a narrare, da
                               triste e ancora incredulo fantasma, la propria sorte
                               infelice. Anziché musicare le parole in una mesta tonalità
                               minore, enfatizzando il dolore del racconto, Carpi
                               sceglie di suggerire, in modo maggiore, una malinconia
                               più sottile, vibrante della consapevolezza e della dignità
                               dei vinti. L’andamento della musica è lento; la chiusa
                               distende il «cussì son morto senza rason» lungo
                               un’implacabile e tuttavia serena scala discendente,
                               traducendovi melodicamente la pacificata
                               rassegnazione con cui l’uomo del popolo guarda alle
                               ingiustizie che gli è congenito subire. A Gero al
                               bancheto Strehler andò ad affidare una precisa funzione
                               drammaturgica: Arlecchino, nel terzo atto, viene
                               bastonato dai suoi due padroni, uno dopo l’altro;
                               rimasto solo, non si lamenta, bensì, pur nel registro
                               comico, dà voce all’amara coscienza della sua
                               condizione di eterno sottoposto: «Adesso posso dir che
                               son servitor de do padroni. Ho tirà el salario da tutti
                               do». Ed è in questo punto che, intrecciando nell’unione
                               di musica e scena un’inedita profondità di significato,
                               Smeraldina – serva pure lei – attraversa il palco
                               intonando, con Gero al bancheto, l’iniqua sorte di chi,
                               nella società dei potenti, deve accettare le bastonate, di
                               chi può morire in prigione ... senza un perché. Umano e
                               tagliente, fa capolino lo sguardo di Brecht.

                               Un po’ di melodramma
                               Tratto ricorrente nelle recensioni dell’Arlecchino era, fin
                               dalle prime edizioni, la sottolineatura di una musicalità
                               pervasiva, quasi vi fosse, sottesa allo spettacolo, una
                               partitura orchestrale a concertarne gestualità,
                               intonazione delle battute, ritmo recitativo, liaisons de
                               scène. Nel giugno del 1958 Jan Kott sarebbe giunto a
                               paragonare i vari attori-personaggi a degli strumenti
                               musicali; già nel 1952 le vorticose acrobazie in

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