Page 54 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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DAVIDE VERGA
       Relda Ridoni e Giulio Chazelettes
       cantano accompagnati a vista dalla
       chitarra in un momento
       dell’edizione 1956-57.
       Foto Archivio Fotografico Piccolo
       Teatro di Milano–Teatro d’Europa.


















                               crescendo della cena servita ai due padroni erano state
                               lette da un critico parigino come «un meraviglioso
                               stretto alla Rossini». E frequentissimo era il rimando
                               all’opera buffa: «Tutto l’insieme della rappresentazione –
                               a scrivere, nel 1952, è Gabriel Marcel – fa pensare a
                               una sorta di opera buffa senza musica. La musica è già
                               lì, nel ritmo, nelle figure che compongono i personaggi.
                               È presente virtualmente, certo. Ma questa virtualità è
                               come una forza che si comunica irresistibilmente e ci
                               elettrizza». A partire dall’Edizione di Edimburgo, Strehler
                               decise di cogliere tali germi musicali presenti nello
                               spettacolo conferendo loro una reale consistenza
                               sonora: grazie all’apporto di Fiorenzo Carpi, da alcuni
                               episodi o battute del testo goldoniano (quelli più enfatici)
                               lievitarono brevi numeri musicali che, rifacendosi
                               parodisticamente agli stilemi dell’opera buffa
                               settecentesca, attuavano una strategia di amplificazione
                               espressiva. È quanto accade, ad esempio, nelle
                               spassose cabalette ‘a cappella’ del trio costituito da
                               Pantalone, dal Dottore e da Brighella, o nell’arioso con
                               cui, nel terzo atto, Florindo intona parte del suo
                               monologo. E anche nel caso del duetto di Silvio e
                               Clarice – interpolato attingendo al testo di un
                               secentesco Dialogo di Sdegno e Pace diffusissimo negli
                               zibaldoni dei Comici dell’Arte – il passaggio dal registro
                               della recitazione a quello del canto pare svolgersi senza
                               soluzione di continuità, quasi la musica elaborata da
                               Carpi non fosse che una versione soltanto più marcata
                               della musicalità già insita nella dimensione linguistica e
                               mimica. Al canto popolare della servetta Smeraldina
                               viene dunque affiancata un’altra modalità vocale – cólta,


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