Page 55 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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LA MUSICA DI ARLECCHINO
artificiosa e compiaciuta – destinata a caricarsi nel
corso dello spettacolo di una precisa identità
drammaturgica, tanto da farsi marchio di classe sociale:
giacché i moduli operistici sono utilizzati per veicolare le
sezioni più sentimentali della commedia, essi sono infatti
riservati agli amorosi, ovvero ai “signori”, ai “padroni”,
«i quali – scriveva un recensore nel 1968 – parlano,
recitano come si parla e si recita all’Opera, con i
portamenti della voce, con i gesti eccessivi di moda nel
teatro lirico». Nel contempo, grazie a questi assaggi di
recitativi, arie e cabalette, si va ad aprire uno squarcio
storico-realistico sulle modalità performative dei Comici
dell’Arte, testimoniando da un lato la permeabilità
ancora vivissima nel XVIII secolo tra teatro di prosa e
teatro lirico, ed evidenziando dall’altro la popolarità e
pervasività del melodramma, alle cui formule e
convenzioni era dunque inevitabile attingere per una
troupe di Comici desiderosa di far presa sul pubblico.
Del resto, con una strategia che del melodramma è
tipica, la musica di Carpi agisce talora nella
messinscena come un occhio di bue sonoro sui
personaggi, sulla loro interiorità: quando il vecchio
Pantalone ricorda nostalgicamente le gioie della Venezia
della sua gioventù, par quasi che la barcarola, suonata
dalla chitarra in sottofondo, gli levi la maschera,
donando alla sua malinconia una vibrazione di profonda
e toccante umanità. E proprio allora, complici le note
sapienti di Carpi, si compie, in quell’istante sospeso,
uno dei più perfetti e struggenti incantesimi del realismo
poetico strehleriano.
*Per un’analisi più approfondita, si rimanda a Davide Verga, Il ‘grazioso’
e ‘umano’ di Fiorenzo Carpi. Appunti sulle musiche di scena per
l’“Arlecchino servitore di due padroni”, «Stratagemmi. Prospettive
teatrali», 15, 2010, pp. 73-118, di cui questo saggio è una rielaborazione
originale in forma sintetica.
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