Page 18 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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PAOLO BOSISIO
Arlecchino - nel classico costume eccezionale di riproduzione in vitro della tradizione remota
a losanghe - e Colombina
in un dipinto del ’700 (Roma, dei “figli d’arte”, Soleri prosegue sulle scene il magistero
Raccolta teatrale del Burcardo). del suo predecessore, integrandolo con un sostanzioso e
originale apporto personale. Il nuovo Arlecchino appare
immediatamente diverso dal precedente, caratterizzato
da tonalità piú acute nella voce e da un atteggiamento
oscillante tra furbesca giocosità e ingenuità infantile,
laddove il personaggio, nell’interpretazione di Moretti, era
contraddistinto da una balordaggine plebea e
sempliciotta, accompagnata da una gestualità
volutamente goffa e da una vocalità di gravi risonanze.
Il testo-spettacolo rimane invariato, mentre si modifica nel
profondo l’esecuzione da parte del protagonista. Soleri
opera un’inversione sostanziale nella dinamica della
rappresentazione, facendo del suo Arlecchino l’autentico
protagonista del metatesto oltre che del testo. A partire
dal 1956, infatti, Strehler aveva introdotto un importante
mutamento della chiave registica allo scopo di cogliere e
rappresentare il momento storico cui l’opera
implicitamente si riferisce: egli immagina, dunque, che
una compagnia dell’Arte reciti la commedia su una
piazza, illuminando in tal modo il rapporto esistente tra la
vita artistica e la vita quotidiana dei comici. Accanto
all’azione scenica, recitata su una pedana, si pone la
drammatizzazione dell’azione contestuale: scesi dalla
pedana stessa al termine della parte prevista dal
copione, gli attori si levano la maschera e,
rimanendo a vista, compiono gesti quotidiani,
come bere vino o chiacchierare tra loro,
oppure collaborano con i recitanti lanciando
loro gli attrezzi necessari alla recita. Entro
tale prospettiva matura l’originale
interpretazione di Soleri: il suo personaggio
assume, quando è “fuori scena”, la
centralità e l’autorità che la tradizione (e la
versione di Moretti) affidavano al
“vecchio” Pantalone. Arlecchino rivela
ora, persino nelle movenze e nella
postura corporea, eretta e ginnica
anziché curvata in avanti e quasi protesa
in un atto di perenne umiltà, una sorta di
emancipazione psicologica dal ruolo
istituzionalmente subordinato del servo.
Con una convinzione accresciuta dalla
realizzazione delle regie brechtiane,
intervenuta nel frattempo, Strehler presenta,
dunque, Arlecchino come la duplice epifania
di uno spettacolo dell’Arte, visto fuori e dentro
le quinte.