Page 23 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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ARLECCHINO UNO SPETTACOLO LUNGO UNA VITA
il personaggio non si è mai cristallizzato, anzi si è
evoluto, quasi un’altra pelle, in accordo con gli anni che
passavano e con la tua maturità. Ripeness is all, la
maturità è tutto, scriveva Shakespeare.
È vero, ma che fatica.
Come Arlecchino sei stato protagonista di un vero e
proprio romanzo teatrale che si concretizzava, con
buona pace di Goldoni, che del resto l’aveva scritto per
un grande attore del suo tempo, non sulla pagina scritta
ma sulla pedana di legno posta al centro del
palcoscenico inventata da Ezio Frigerio. Un romanzo
teatrale lungo come un matrimonio ben riuscito ma non
fissato eternamente, in una scena in continua
evoluzione. Uno spazio-luogo che rinasceva ogni volta
dal 1956 al 2003 dalle idee del grande scenografo. Così
il tuo Arlecchino poteva entrare in scena all’improvviso
come catapultato dal mondo esterno oppure scendere
da un cielo di teatro su di una nuvola bianca un po’
barocca o fare cadere dispettoso per tutto il
palcoscenico da una cesta delle palle colorate, per
gioco, ma anche per mettersi al riparo dalla voglia di
prenderlo e dalla rabbia degli altri personaggi contro di
lui, per i suoi inganni, scappando in sala fra gli
spettatori.
E lì veniva ogni volta in primo piano il fatto che il tuo
Arlecchino, rispetto a quello di Moretti, si distingueva
tantissimo, e non solo per qualche lazzo in più e per
come fosse risolta la bellissima scena dei bauli, quando
il servitore di due padroni si trova nell’imbarazzo della
scelta per l’abito che gli richiedono da indossare
Florindo e Beatrice travestita da uomo («nero nero
dove tu sei»…) ma per quel tutto giocato in bilico fra
fisicità pura e puro calcolo, fra le strette di una
condizione servile e la finta, comica nonchalance dei
gentiluomini, fra l’ineluttabile destino della vittima e gli
intriganti giochi di un maestro di imbrogli.
Come conservare il filo rosso del personaggio nello
spaesamento del mutare dei luoghi – potresti dircelo
solo tu – dentro le scene e le edizioni che cambiano,
dal chiuso all’aperto e viceversa, facendosi più semplici,
tolta di mezzo anche la pedana, nella luce anch’essa
meno nitida, ricca di ombre che la lunga vita dei
personaggi porta con sé, lasciando nudo il
palcoscenico con un cerchio di luce all’interno del quale
si svolge la storia e tutto ciò che separa Arlecchino
da un qualunque spettatore, per raggiungere quello
che Strehler chiamava “il meraviglioso” del teatro:
il fatto che si possa andare sempre più avanti,
che nulla è mai definitivo.
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