Page 24 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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ELEONORA VASTA
dal punto di vista estetico e che non ci fosse la necessità
di seguire la trama del testo, ma che un’idea forte, quella
del processo, innescasse la narrazione, la svolgesse e la
riportasse circolarmente a quel punto. Ho voluto giocare
con assoluta libertà, con spensieratezza, abbandonandomi
al gusto del teatro: i cambi di scena sono effettuati a vista
dagli attori stessi; i ragazzi della banda e le prostitute di
Jenny impersonano più ruoli; più attori interpretano il
giudice, semplicemente indossandone la parrucca e il
mantello: la corruzione è talmente generale e diffusa, che
ho voluto enfatizzare il concetto. Tutti siamo il giudice, tutti
siamo corrotti e corruttori. Volevo che il cast fosse sempre
in scena al completo, costante spettatore di ciò che
avviene, appendice del pubblico in sala, ma anche suo
specchio. L’idea del processo è funzionale sia a mantenere il
pubblico ben ancorato a quello che avviene, sia a preservare
una certa tensione per tutta la durata dello spettacolo.

Hai voluto attori che cantano e non cantanti che
recitano. Da cosa è nata la tua scelta?
L’opera da tre soldi è un unicum: non è un’opera lirica,
non è un musical, non è un testo di prosa con canzoni.
Sfugge a qualunque catalogazione. Non ho mai pensato
di scritturare dei cantanti, perché credo che non si venga
a vedere l’Opera da tre soldi per il gusto di sentire
“cantare bene”. Occorre trovare un’espressività,
attraverso la canzone, che non si esaurisca nella vocalità,
ma sia questione di sensibilità, di sfumature, di
suggestioni. Con il maestro Giuseppe Grazioli, abbiamo
invitato gli attori a sfruttare la possibilità di giocare sul filo
che separa parlato e cantato.
Per questo spettacolo ti sei cimentato anche con la
traduzione, trasportando dal tedesco all’italiano i
testi delle canzoni. Che tipo di lavoro hai fatto?
Nel momento in cui, con il Piccolo Teatro, abbiamo
pensato a una nuova produzione dell’ Opera da tre soldi ,
realizzare una nuova traduzione si è reso necessario:
occorreva partire da zero, per declinare tutto sulla nostra
idea dello spettacolo. Ho cominciato un anno e mezzo fa
a lavorare sulle canzoni del copione. Tedesco e italiano
sono lingue molto diverse e non è stato facile individuare
parole che fossero “cantabili”, veicolassero un contenuto
“forte” e al tempo stesso rispettassero la metrica, le rime e
il sistema della versificazione. Come tutti i lavori di
traduzione, soprattutto quando si parta da un materiale
poetico, non è mai finito: c’è sempre una parola da
aggiustare, da cambiare, un’espressione che alla prova
del palcoscenico risulta debole e su cui occorre tornare.
Tradurre mi ha appassionato tantissimo, mi ha divertito e
mi ha aiutato a esplorare meglio il testo: è alle canzoni che
Brecht affida il messaggio più autentico.
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