Page 28 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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CARLO MARIA CELLA
baritono, ma dopo due misure capiamo che in realtà non
è così, non è la direzione giusta.

Il primo Mackie Messer era un baritono leggero.
E anche in questo ci siamo. Ma quando ascoltiamo la parte
da un tenore che cerca di “spingere”, sentiamo che non è
il mondo espressivo dell’ Opera da tre soldi . Non appartiene
a quel mondo perché fa rientrare Die Dreigroschenoper in
quell’alveo dell’opera tradizionale cui Weill voleva sottrarsi.
Insopportabile il vibrato, e l’impostazione della voce. Non
per questo le cose si fanno più semplici. Ci vuole invece
una speciale abilità nel passare dal cantato al parlato
rimanendo espressivi, che a noi è costata settimane e
settimane di lavoro, e ancora cerchiamo di perfezionare,
prova dopo prova. Fin dall’inizio ci siamo imposti che non
dovesse trattarsi di una scelta per mancanza, per
inadeguatezza: non riesco a cantarlo e quindi lo recito.
Doveva essere una scelta in positivo. Così abbiamo curato
quella cesura che si produce spesso fra le parti, anche
lunghe, in cui si recita solamente e poi attacca la musica.
Il momento in cui si passa dalla parola al canto è un
momento delicatissimo, perché dalla forza applicata alla
parola si deve usare una forza fisica maggiore. Abbiamo
cercato di incrociare la fine di un dialogo con l’inizio del
canto, in modo che questo passaggio fosse più fluido
possibile. Così che l’ultima parola di un dialogo fosse
anche l’inizio di una musica, o la fine di una musica fosse
decisa da una luce diversa o da una parola recitata. Non è
pura coincidenza che in quel primo Novecento, musicisti
diversissimi di lingua e cultura tedesca, da Schoenberg a
Weill, elaborassero diverse varianti di una tecnica di
linguaggio che si chiamava sprechgesang . Parlar cantando.
Per un altro luogo comune si guarda alle canzoni di
Weill come a un momento in cui la storia viene sospesa.
Al contrario, definiscono, amplificano i personaggi, non
sospendono la narrazione: dicono l’indicibile. Il personaggio
è ritratto ancora meglio. Wagner, da cui ci si vuole allontanare,
rientra dalla finestra. I musicisti tedeschi fanno fatica a
liberarsi del leitmotiv. Così anche Weill nella Dreigroschenoper .
Ed è la saldatura completa delle estetiche di Brecht
e Weill.
Perché s’intitola “da tre soldi”? Perché entrambi vogliono
riportare il teatro musicale con i piedi per terra: si può fare
opera con pochi mezzi, si può cantare senza virtuosismi
esibiti, si può dire tanto anche con dieci strumenti.
E strumenti popolari. Tre soldi significa molte cose, ma
sicuramente vuol dire: liberiamoci dalle grandi strutture, dalle
storie mitiche, sollecitiamo le sensazioni dello spettatore con
strumenti semplici e linguaggio essenziale. In questo la
musica di Weill è nello spirito di Brecht, e viceversa.
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