Page 31 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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TRADURRE L’OPERA DA TRE SOLDI
cinque o sei al massimo. Così, il Piccolo Teatro ottenne da
Brecht e poi dagli eredi la nota “Lex Strehler”, che
permetteva una riduzione drastica dell’orchestrazione,
ispirata al jazz. Quella versione musicale solo Strehler in
vita avrebbe potuto usarla, perché Brecht gliela autorizzò
di persona. Nessuno, dopo di lui, potrà più farlo.
Neanche al Piccolo.
La traduzione che è stata effettuata per questo
spettacolo, pur contentendo qui e là dovuti omaggi al
testo di Strehler, evita i gerghi (perché non esiste più una
mala milanese), non cerca il cabaret, non insegue la
battuta, non usa eufemismi comici. Il testo va alla ricerca
di un Brecht ancora poco conosciuto, un Brecht aspro,
teatralmente diretto, immediato, prima che intellettuale.
Un Brecht che ricorda la raffinatezza e la violenza degli
scrittori barocchi, che ci fa pensare a Shakespeare.
Ovviamente, nell’ Opera da tre soldi siamo ancora nel
regno della commedia, con le situazioni tipiche che non ci
aspetteremmo, e che quindi ci fanno ridere. Ma i poveri
son poveri davvero, non sono fatti di celluloide, non
vengono da una soap opera, appena usciti dalla
pettinatrice. E questo è sottolineato anche da alcuni toni
cupi di Weill. Si veda l’ouverture iniziale, che avrà il suo
effetto. Molti si aspetteranno la dolci note della Ballata di
Mackie Messer, com’era l’inizio in Strehler, ma prima di
quella l’orchestra sottolinerà con toni incombenti e anche
cupi lo straniamento epico: siamo qui per ridere e gioire,
ma attenzione, i poveracci esistono davvero, e in genere
non finiscono bene, come nell’ Opera da tre soldi .





























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