Page 21 - L'OPERA DA TRE SOLDI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2015/2016
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PORTARE IN SCENA OGGI
L’OPERA DA TRE SOLDI
Conversazione con Damiano Michieletto
a cura di Eleonora Vasta
Con l’Opera da tre soldi hai compiuto un viaggio al
centro del pianeta Brecht. Cosa ha significato per te?
Mi sono immerso in un materiale complesso e
affascinante, che mi ha riportato ai miei inizi teatrali.
Per la contaminazione tra parola e musica, L’opera da tre
soldi è uno dei testi che mi hanno più appassionato
quando ho cominciato a scoprire il teatro: portarla in
scena è stato come tornare a un innamoramento giovanile e
al tempo stesso confrontarmi con un testo che ha scritto
la storia del teatro, in particolare a Milano e al Piccolo.
Tutto questo mi ha dato grande adrenalina e non mi ha
fatto sentire solo, ma in compagnia di quanti prima di me
si sono misurati con questa sfida; mi ha dato la giusta
dose di necessaria incoscienza e la voglia di prendermi il
rischio di provarci. Ho vissuto settimane di divertimento e
passione, con la gioia profonda di fare questo lavoro.
Ai tempi di Strehler, Br echt era un autore vivente
e poco noto in Italia, un uomo schivo che il Piccolo
invitò alla prima dello spettacolo, nel 1956. Oggi, a
soli sessant’anni da quella serata, ne parliamo come
di un classico del teatro europeo. Perché, secondo te?
Brecht non è stato solamente un drammaturgo: in
cinquantotto anni di vita ha fondato un teatro, ha avuto
una compagnia teatrale, ha scritto testi per la scena, è
stato un eccellente poeta, ha collaborato con i musicisti
alla realizzazione di operazioni teatrali che giocavano con i
generi della letteratura e dello spettacolo, ha prodotto
scritti di teoria teatrale di notevole lucidità… L’opera da tre
soldi, scritta nel 1928 da un Brecht trentenne, è un testo
che emana il profumo della libertà e rivela un gioco di
citazioni e rimandi a numerosi autori europei, da François
Villon a John Gay, alla cui Beggar’s Opera (L’opera del
mendicante, n.d.r.) Brecht è debitore della trama. Strehler,
quando la mise in scena sessant’anni fa, ne fece uno
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L’OPERA DA TRE SOLDI
Conversazione con Damiano Michieletto
a cura di Eleonora Vasta
Con l’Opera da tre soldi hai compiuto un viaggio al
centro del pianeta Brecht. Cosa ha significato per te?
Mi sono immerso in un materiale complesso e
affascinante, che mi ha riportato ai miei inizi teatrali.
Per la contaminazione tra parola e musica, L’opera da tre
soldi è uno dei testi che mi hanno più appassionato
quando ho cominciato a scoprire il teatro: portarla in
scena è stato come tornare a un innamoramento giovanile e
al tempo stesso confrontarmi con un testo che ha scritto
la storia del teatro, in particolare a Milano e al Piccolo.
Tutto questo mi ha dato grande adrenalina e non mi ha
fatto sentire solo, ma in compagnia di quanti prima di me
si sono misurati con questa sfida; mi ha dato la giusta
dose di necessaria incoscienza e la voglia di prendermi il
rischio di provarci. Ho vissuto settimane di divertimento e
passione, con la gioia profonda di fare questo lavoro.
Ai tempi di Strehler, Br echt era un autore vivente
e poco noto in Italia, un uomo schivo che il Piccolo
invitò alla prima dello spettacolo, nel 1956. Oggi, a
soli sessant’anni da quella serata, ne parliamo come
di un classico del teatro europeo. Perché, secondo te?
Brecht non è stato solamente un drammaturgo: in
cinquantotto anni di vita ha fondato un teatro, ha avuto
una compagnia teatrale, ha scritto testi per la scena, è
stato un eccellente poeta, ha collaborato con i musicisti
alla realizzazione di operazioni teatrali che giocavano con i
generi della letteratura e dello spettacolo, ha prodotto
scritti di teoria teatrale di notevole lucidità… L’opera da tre
soldi, scritta nel 1928 da un Brecht trentenne, è un testo
che emana il profumo della libertà e rivela un gioco di
citazioni e rimandi a numerosi autori europei, da François
Villon a John Gay, alla cui Beggar’s Opera (L’opera del
mendicante, n.d.r.) Brecht è debitore della trama. Strehler,
quando la mise in scena sessant’anni fa, ne fece uno
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