Page 16 - RAGAZZO ULTIMO BANCO - PICCOLO 2018-2019
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LA SCUOLA: ISTRUZIONI PER L’USO
di Maurizio Porro
Non nominare il nome di Borges invano, ma il modo di
far teatro dello spagnolo Mayorga ci introduce in un
gioco di specchi e di riflessi, in una serie di scatole
cinesi in cui ogni illazione o quasi è permessa. Già dal
titolo originale, El chico de la última fila, vediamo che si
tratta di un incrocio tra piani narrativi e psicologici diversi
perché la commedia del matematico, filosofo e
drammaturgo Juan Mayorga, che ha già avuto
locandine col suo nome in Italia e, a poco più di 50 anni,
ha scritto oltre 20 testi teatrali, vive proprio della sua
mancanza di precisa e comune connotazione. Come nel
giochetto delle grosse biglie luminose che si toccano e
si spingono, troviamo in queste pagine materiali sparsi
che rammentano libri e film, stereotipi e novità, la matura
seduttrice MILF come mrs. Anne Bancroft nel Laureato
e le molte schegge di follia, più o meno indotta, che
volano tra padri e figli nelle produzioni di questi anni,
eredità del grande melò americano di Tennessee
Williams che non a caso compose brevi blues pure con
giovani protagonisti. Per non dire, sempre sorvolando
con un drone i temi della commedia, del tòpos
inequivocabile e inevitabile di chi si finge un altro per
entrare in relazione con un tipo, un ambiente, qui una
famiglia, esattamente come accadde tante volte nei
polizieschi dell’età dell’oro del cinema, come accade
anche nel nuovo Spike Lee di BlakKksman, il tutto
passato dall’intuito non innocente di scrittrici come
Patricia Highsmith, o del magnifico nevrotico Cornell
Woolrich o della evergreen Agatha Christie che hanno
raccontato in molti modi diversi i piani criminosi di un
debole per conquistare l’amico forte, non solo il conto in
banca ma anche quello del cervello, il talento appunto di
mr. Ripley o di altri. Riprendiamoci il titolo di Mayorga:
quest’ultima fila è per chi guarda da dove? Una fila
metaforica, beckettiana o magari solo alla de Amicis con
la lavagna, il gesso e la spugnetta? I banchi, traducono
giustamente, perché si tratta nella realtà d’una classe
scolastica; ma la classe diventa subito specchio
rifrangente delle condizioni sociali diverse che sempre si
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