Page 18 - RAGAZZO ULTIMO BANCO - PICCOLO 2018-2019
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            MAURIZIO PORRO
                                     sogno, espediente che tanto cinema di una volta ha
                                     usato ondeggiando lo schermo come fosse il fantasma
                                     in cinemascope della libertà dell’inconscio: il lettore è
                                     come il sultano di Sherazade, si dice nel testo, se mi
                                     annoi ti taglio la testa e c’è sempre bisogno di Omero.
                                     Qui, fra questi banchi, non si parla del passato, in cui
                                     l’autore in genere vede tutti i fallimenti dell’umanità, ma
                                     si scorge qualcosa di futuro o almeno la possibilità del
                                     domani. Il gioco del testo, in un crocevia di destini
                                     incrociati peggio che un thriller dei Coen, è un malizioso
                                     raddoppio di molte ispirazioni e di un baricentro che si
                                     sposta di continuo e fa venire in mente non a caso
                                     situazioni analoghe di architetture quasi semoventi in
                                     letteratura (citatissimo Kafka e poi Mann, Dumas, Poe,
                                     Scott Fitzgerald, Joyce, Čechov...), cinema e nei
                                     giocattoli, fra cui l’amatissima Barbie. C’è chi, come il
                                     serial killer del troppo odiato Lars Von Trier, pensa che
                                     l’uccisione sia qualcosa che ha del metodo come la
                                     pazzia di Amleto e che si possa anche pensare di
                                     edificare una casa sull’ombra dei morti (lo dice bene una
                                     vecchia leggenda ripresa in Rocco e i suoi fratelli e nota
                                     anche alla Yourcenar). Quando, come dire, vita e arte
                                     dissociano le proprie responsabilità, da una parte il
                                     compito in classe sulle frazioni, la condivisione non facile
                                     del mistero di un capolavoro letterario e dall’altra il
                                     sogno di una partita di tennis al ritmo tic tac con i volti
                                     degli spettatori che si voltano come in un musical
                                     (vedere per credere Delitto per delitto di Hitchcock). È la
                                     ferita della vita evocata dalla finzione e anche viceversa,
                                     per cui è quasi ovvio citare la poetica di Pirandello,
                                     partendo dai Giganti della montagna, con gli attori che
                                     vogliono far conoscere una loro favola nuova e i giganti
                                     che passano rumorosi in cavalcata come un
                                     cinemascopico western in dolby stereo. Non si capisce
                                     quanto Mayorga studi le citazioni e blitz alla Borges, i
                                     giochi inseriti a sudoku: in questa architettura della vita
                                     che prevede scambi curiosi ma anche rifiuti
                                     disinteressati, si pensa alla follia che porta all’inferno da
                                     cui il serial killer di Lars vorrebbe fuggire. Sono in fondo
                                     le care, antiche, malmenate e ritrovate “due” culture di
                                     cui parlava negli anni ’60 Charles P. Snow, spaccando
                                     per primo l’era moderna con una ferita non
                                     cicatrizzabile. Questa ferita si è poi trasformata in un
                                     corpo a corpo tra realtà e finzione, o meglio tra la verità
                                     dei fatti e l’ombra incombente di una realtà virtuale che
                                     rischia di avere e ha avuto il primo posto, dettando
                                     ingrata legge e devastando il tessuto civile e morale. In
                                     questo senso non importa tanto se il racconto del
                                     madrileno Mayorga sia esperienza vissuta, intuito
                                     letterario o allucinazione borghese nata sui banchi di
                                     scuola, primo terreno di scontro di classi, da Ore 9


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