Page 36 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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GIORGIO STREHLER
Giambattista Piazzetta - Marco versi, e addirittura un testo in sotto-dialetto, che è il
Alvise Pitteri, Ritratto di Carlo
Goldoni con berretto. dialetto di Chioggia. Queste opere stanno accanto a
quelle in lingua italiana e non con tono minore. Io penso,
caso mai, con un tono maggiore, come un polo irraggiante,
insostituibile e, in molti casi, come un polo di una dialettica
teatrale, che è poi la dialettica storica di costume morale.
In poche parole, credo che noi abbiamo due lingue: una
lingua con la quale comunichiamo con la gente e poi una
lingua con la quale comunichiamo a noi stessi,
o parliamo con le persone intime. Io a mia madre non ho
mai potuto dire “ti voglio bene”: le ho sempre detto “te
vojo ben”. A noi giovani attori, in un’epoca in cui non
c’erano scuole, i vecchi attori, quando non riuscivamo a
pronunciare alcune battute, dicevano: «E tu dilla a bassa
voce, la prima volta». E già incominciavamo ad andare
meglio. E poi se non si riusciva ancora: «Ditela in
dialetto». E allora si recitava il monologo dell’Amleto in
dialetto. In questo gioco Goldoni è arrivato a sottigliezze
estreme. C’è una commedia, La putta onorata, in cui ci
sono due mondi; da una parte il mondo dei marchesi, dei
nobili, dall’altro quello dei barcaioli. Bettina serve gente
povera e gente ricca. La gente ricca si odia, si avvelena,
la gente povera vive come può ed il marchese si
invaghisce della giovane Bettina. In scena, tutti quelli che
stanno sulla destra parlano in lingua, mentre tutti quelli a
sinistra parlano in dialetto; perciò, quando il marchese
tenta di sedurre Bettina, lo fa “parlando italiano”, ma
Bettina gli risponde in veneto. Qui si capisce con che
sottigliezza e semplicità venga affrontato questo
problema di fondo del teatro italiano. I due gruppi,
parlando due linguaggi diversi, non stabiliscono mai un
vero contatto e non soltanto perché non sono d’accordo:
non si capiscono perché non parlano la stessa lingua.
Infine è interessante accennare al problema della riforma.
La riforma di Goldoni è stata quella – dicono – di opporre
il testo scritto al testo improvvisato. Questo modo di
recitare “all’italiana” è tutto nostro. In pratica, le
compagnie erano composte da attori bravissimi che
erano anche letterati e improvvisavano basandosi su
canovacci, storie, avventure. Questo modo di fare teatro
durò un secolo e mezzo. Ma andando avanti nel tempo,
dopo che gli attori più bravi erano morti, sostituiti dai figli
e nipoti, tutta questa improvvisazione si era trasformata in
una specie di ripetizione, perché gli attori della Commedia
dell’arte tendevano ora molto spesso a scrivere le loro
battute. In duecento anni questa ripetizione era diventata
una specie di zibaldone che gli attori si tramandavano di
padre in figlio, custodendolo come un segreto. Gli attori,
perciò, improvvisavano, sì, ma ripetevano più o meno le
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