Page 35 - ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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GOLDONI E IL TEATRO
«Carlo Goldoni fu certamente un e di mistero. Voi capite, quando facciamo Il campiello,
uomo che visse in un’epoca di ogni sera sentiamo qualcosa che pochi sentono: c’è una
fine-inizio estrema, in una delle
tante crisi finali dei tornanti della zona di mistero nell’opera di Goldoni, una traccia poetica
storia e che a questa crisi, non definibile. Sentiamo che c’è una estrema verità di
e perciò contraddizione, non si rapporti ma anche qualcosa di più. Pensate sia un caso
sottrasse mai, perché non poteva che Le baruffe chiozzotte si svolgano in un piccolo paese
né sapeva, né voleva sottrarvisi.
[…] Goldoni, più di altri e meno di mare, vicino a Venezia, dove la gente continua a litigare
di altri, cercò di difendersi – e continua ad amarsi, non amarsi, capirsi, non capirsi,
piuttosto male – da questa carica dove tutto è incerto? No, tutto questo mobilitarsi si
tragica che gli stava davanti, svolge stranamente in un giorno, in una città
che già lo circondava e lo completamente avvolta dal mare, dalla natura, dal vento,
sopraffaceva, in un certo senso.
Si difese nascondendosi in una e voi capite che questa è una simbologia: una piccola
misura di “comprensione” molto isola come Mondo in cui gli uomini vivono la nostra vita,
spesso più apparente che reale, sempre fatta di incertezza. Ci sarà sempre una lite,
di indulgenza che non era ci sarà sempre un’incomprensione, ci sarà sempre un
indulgenza, e soprattutto si lasciò
incantare da un senso infantile, incontro d’amore, ci sarà sempre una persona che non
rimasto sempre in lui presente, capiremo. Ci sarà sempre tutto quello che c’è nelle
della vita, del miracolo del Baruffe chiozzotte: la variabilità eterna degli animi umani
quotidiano come che si amano, non si amano, si capiscono, si vogliono
“rappresentazione” mai vista.
Da qui quell’altro stupore di bene, non si vogliono bene, senza mai fine. In Goldoni
scoperta che tanta parte esiste sempre una grande proiezione simbolica del
dell’opera di Goldoni porta con sé destino dell’uomo. Ecco perché il piccolo Goldoni che
e che il tempo ha lasciato parla di questa coralità dell’uomo, che parla con la gente
intatto».
Giorgio Strehler, 1997 dell’uomo nella sua verità, a poco a poco finisce per
innalzare queste piccole verità alle soglie dell’universalità.
Gozzi e gli altri nemici del Goldoni non capirono
assolutamente niente di tutto ciò. Dicevano che copiava
la verità, stenografava il dialogo della povera gente e che
la sua non era poesia.
Goldoni non poteva non urtarsi col problema della lingua.
Ha scritto molte commedie in lingua italiana; molte le ha
scritte in dialetto, alcune in dialetto e in versi, alcune in
italiano. Dico commedia genericamente, perché Goldoni
è stato anche autore di tragedie. Ha toccato tutti i modi
della lingua, affrontando il problema della realtà del colto,
del mediamente colto, o del popolare, cioè della lingua
letteraria e della lingua parlata, della lingua del
palcoscenico, dove uomini e personaggi parlano tra loro.
Goldoni si è domandato quale lingua dovesse far parlare,
se una lingua convenzionalmente toscana, oppure una
lingua tendenzialmente mediata, con cadenze ed
immissioni coraggiose di espressioni dialettali di parole, di
modi e usi dell’Italia. Una lingua in qualche modo
inventata, che si parla a Venezia, sì, ma anche a Milano, a
Ferrara, e così via. E la scelta di Goldoni non lascia
dubbi, perché fu sempre contro quella lingua che si
potrebbe definire toscaneggiante e colta, classica.
Goldoni risponde con un insieme di opere in una “lingua”
che è vera e inventata: opere in dialetto, in prosa e in
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