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NEL TEMPO DEGLI DEI 2.qxp_00  11/03/19  10:11  Pagina 13



                                                    CELEBRI STORIE MAI ACCADUTE DI UOMINI E DÈI
                                     Siamo diventati noi, gli dèi. Però, se non abbiamo più
                                     qualcuno da incolpare, significa che possiamo contare
                                     solo su noi stessi. Che, in fondo, è quello che abbiamo
                                     sempre ammirato: farsi da soli, senza bisogno degli altri.
                                     Essere entità autonome che non devono mai niente a
                                     nessuno. «Fatti non foste a viver come bruti ma per
                                     seguir virtute e canoscenza», fa dire Dante a Ulisse.
                                     È il contrario di Anitya, il divenire, la transitorietà di ogni
                                     aspetto dell’esistenza umana. Gli dèi che bisogno hanno
                                     dell’impermanenza? Sono immortali!
                                     Infatti, a questo punto, l’obiettivo che la parte di umanità
                                     privilegiata può ben perseguire quale può essere se non
                                     l’immortalità? Harari ha scritto un libro prezioso di spunti
                                     e intuizioni. E probabilmente ha ragione: stiamo
                                     diventando immortali. Ma non lo siamo ancora.
                                     Siamo in transizione.
                                     Ecco, per raccontare questa condizione transitoria, che
                                     è sempre e comunque impermanente, il personaggio
                                     giusto ci è sembrato Ulisse. Ulisse è ancora un uomo.
                                     Ha un rapporto privilegiato con gli dèi grazie alla sua
                                     intelligenza, alla sua arguzia, e anche un po’ grazie ai
                                     suoi antenati divini. Ma è ancora un uomo. L’Ulisse che
                                     vorremmo raccontare è quello che ha già vissuto tutte le
                                     sue peripezie, è un vecchio di oggi. E quindi il problema
                                     è: quando si è vecchi, oggi? Mentre lavoravamo allo
                                     spettacolo i giornali se ne uscivano con la notizia che,
                                     ormai, la terza età comincia a settantacinque anni.
                                     Per il nostro Ulisse, quindi, la parola “vecchio” è
                                     impropria. È ancora molto in gamba. Pretende ancora di
                                     competere con i giovani. E forse è proprio questa
                                     pretesa che lo spinge all’eccesso. Che lo ha condotto a
                                     fare stragi inutili. Quell’istinto occidentale che ci spinge
                                     oltre le Colonne d’Ercole, a superare noi stessi e i nostri
                                     limiti, a competere sempre e comunque. Il nostro Ulisse
                                     è colto nel momento in cui tutte le sue peripezie non
                                     sono più motivo d’orgoglio. Come dice Italo Calvino ne
                                     Le città invisibili: «Nella vita degli imperatori c’è un
                                     momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza
                                     sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla
                                     malinconia e al sollievo di sapere che presto
                                     rinunceremo a conoscerli e a comprenderli, un senso
                                     come di vuoto… È il momento disperato in cui si scopre
                                     che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte
                                     le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la
                                     sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro
                                     scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani
                                     avversari ci ha fatti eredi della loro lunga rovina».
                                     È questo momento che lo spettacolo vuole cogliere.
                                     Il momento in cui Ulisse ha accumulato saggezza, ma
                                     anche confusione e disorientamento. È un uomo che ha
                                     conosciuto molto ma non ha ancora capito la differenza


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