Page 19 - IL TEATRO COMICO - PICCOLO TEATRO MILANO
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IL TEATRO COMICO DI GOLDONI: LA RIFORMA IN SCENA
consiste nel fatto che i due rivali in amore siano padre e
figlio, destinati inevitabilmente a entrare in contrasto tra
loro. La trama prevede anche il consueto raddoppiamento
basso del plot, con Colombina (servetta di Rosaura)
indecisa tra il corteggiamento di Brighella e quello di
Arlecchino. Consueta alle norme dell’Arte è la felice
risoluzione finale: Rosaura sposa Florindo e Colombina
Arlecchino, con il doppio matrimonio finale dei due amorosi
e dei servi. Ma la commedia è comunque cosa nuova, già
per il fatto di essere completamente stesa, in modo da non
prevedere alcuno spazio lasciato all’improvvisazione
dell’attore: Goldoni sembra infatti deliberatamente giocare
con gli stilemi consueti della Commedia dell’Arte per
dimostrare la potenzialità della sua riforma, che non
cancella con un colpo di spugna la tradizione precedente,
ma la rinnova con gradualità. Infatti, la novità risiede nel
modo in cui si arriva allo scioglimento: non attraverso
giochi di equivoco o tantomeno con il ricorso al
meccanismo farsesco della bastonatura, ma con un
incisivo sviluppo della psicologia dei personaggi in senso
realistico. Il Pantalone che Goldoni inscena qui è il saggio
mercante della riforma, che motiva la sua azione sulla base
di una psicologia retta e verisimile, e che quindi si vergogna
della propria debolezza, riconoscendo la legittimità delle
richieste del figlio, ma che soprattutto non può rinunciare
alla propria dignità e pertanto volontariamente si allontana
dalla casa. Qui si coglie la firma goldoniana: la felice
conclusione matrimoniale non riscatta la sofferenza
autentica di Pantalone, colpito nella sua debolezza e nel
suo onore al punto da uscire di scena dichiarando «Ohimé!
gh’ho el cuor ingropà, me sento che no posso più!» (III;10).
In questa piccola pièce c’è dunque il germe del falso lieto
fine delle grandi commedie: la verosimiglianza cercata nel
mondo impone la misura anche nella felicità, indica che
persino in teatro non tutto e non sempre si risolve secondo
la norma canonica del genere fissato nella precettistica
cinquecentesca. Se il livello della finzione interna si chiude
con un sorriso moderato e venato di tristezza, anche il
livello esterno, segnato dal “Mondo” e dalla prospettiva
metateatrale non presenta un quadro pacificato, giacché
alla fine della prova Orazio si trova ad affrontare i giusti
malumori dell’Arlecchino, che si vede sacrificato
nell’economia del testo. È il punto debole della riforma,
come annotava lo stesso Goldoni in una lettera al conte
Giuseppe Arconati Visconti del 10 ottobre 1750 quando, a
proposito della maschere, scriveva: «ma per l’Arlecchino le
cose vanno assai male. Tutta volta le mie commedie poco
hanno bisogno di quella maschera».
* professore di Storia del Teatro e dello Spettacolo -
Università degli Studi di Milano
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