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TRENT’ANNI DI LETTERE
di Paolo Giordano
Al termine di un maxi-processo estenuante, un giudice
condanna all’ergastolo un imputato di nemmeno trent’anni,
di nome Salvatore. La sera stessa, in uno slancio di umanità
che lo spinge oltre i confini del suo ruolo istituzionale, gli
scrive una lettera. Insieme alla lettera manda a Salvatore un
libro, come se là dentro si trovasse la chiave per
sopravvivere al futuro che lui stesso ha decretato leggendo
la sentenza. Il ragazzo, invece di mandarlo al diavolo,
risponde alla lettera. Comincia così un carteggio destinato a
© MYBOSSWAS durare per il resto della vita, e che continua ancora oggi.
È all’incirca tutto quello che sapevo della storia di Elvio
Fassone e Salvatore quando l’incarico di portarla a teatro mi
Paolo Giordano è autore di tre è stato proposto. Un breve resoconto telefonico, nulla di
romanzi, tradotti in tutto il più. Eppure ho accettato subito. Quello spunto narrativo,
mondo: La solitudine dei numeri che sapevo reale, è stato sufficiente a riempirmi la testa con
primi (Mondadori, 2008, Premio le sue implicazioni struggenti, domande delle quali ogni
Strega, Premio Campiello Opera narratore è sempre alla ricerca: qual è il fine della giustizia?,
Prima), Il corpo umano che rilevanza ha in esso il pentimento?, quanto incide
(Mondadori, 2012) e Il nero e l’attenuante della giovinezza?, e quali contraddizioni si
l’argento (Einaudi, 2014). celano dietro l’espressione «pena perpetua»? Ancora: che
Ha scritto per il teatro (Galois, cos’è un’educazione? Chi sono davvero un padre e un
Fine pena: ora) e collabora con figlio? Soltanto in un secondo momento ho letto il libro di
il Corriere della Sera.
Fassone dove ho trovato riproposti, seppure spesso taciuti
con riserbo, gli stessi dubbi. L’ho letto una, due, tre volte
per intero, e non so quante altre a pezzi, all’inizio
lasciandomi solo trasportare, poi prendendo appunti, infine
selezionando fra quegli appunti. Scrivere consiste per lo più
nel risolvere problemi. E via via che la vicenda raccontata da
Fassone mi passava sottopelle, individuavo con maggiore
chiarezza quali sarebbero state le difficoltà di una
drammaturgia tratta da Fine pena: ora. In un certo senso
posso dire adesso che il testo teatrale è costruito
innanzitutto a partire da quelle difficoltà – dalle difficoltà e
insieme dalla volontà ferrea di mantenere intatto il nucleo
della storia di Salvatore e del magistrato, che era stata
capace di conquistarmi nel tempo di una telefonata.
L’asimmetria fra i protagonisti è stata la prima delle
preoccupazioni. Mi era chiaro che Fine pena: ora dovesse
essere un dialogo, con entrambi i protagonisti sulla scena,
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