Page 13 - FINE PENA ORA - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2017 2018
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                                     FINE PENA: ORA
                                     di Elvio Fassone










             Elvio Fassone è stato   Il tema del tempo nel carcere mi ha sempre coinvolto
             magistrato e senatore della  emotivamente, tanto più quando quel tempo non ha una
             Repubblica Italiana.    misura, se non quella della vita del recluso: l’ergastolo.
             Oltre a Fine pena: ora (Sellerio  Il fine pena: mai spalanca all’immaginazione abissi che
             2015), ha scritto numerose  hanno qualche cosa di intollerabile.  Possiamo
             pubblicazioni in materia  sopportare una sofferenza anche intensa se pensiamo
             processual-penale e     che fra un mese, un anno, o fosse pure dieci o
             penitenziaria, nonché Una  vent’anni, quella sofferenza avrà termine; allora
             costituzione amica (Feltrinelli,  piantiamo la nostra piccozza nella roccia di quel culmine
             2012).
                                     lontano e ci issiamo giorno dopo giorno sapendo che
                                     ogni porzione di dolore ingoiata serve quanto meno ad
                                     avvicinarci alla sua fine. Ma se il termine coincide con
                                     l’esaurirsi della nostra vita, allora viene meno quel lievito
                                     che ci soccorre nella fatica di vivere, e che si chiama
                                     speranza. Subentra lo straniamento, il diventare esterni
                                     a se stessi. Da tanto tempo non ho più notizie di me ha
                                     scritto icasticamente Alda Merini, che ha conosciuto una
                                     forma di reclusione diversa da quella carceraria, ma non
                                     meno tragica. Un ergastolano, a sua volta, così lo ha
                                     tradotto: Vedo la mia vita scorrere senza di me. Il tempo
                                     nostro, che è un contenitore di accadimenti e di progetti
                                     di cui siamo parte, diventa per il detenuto una
                                     dimensione altra, la cui unica funzione è quella di essere
                                     irrevocabilmente consumata, nella quantità scritta in un
                                     documento chiamato sentenza di condanna.
                                     In quel tempo non accade nulla che possa dirsi
                                     veramente nostro, se non nella tramutazione del futuro
                                     in un passato inerte, ingoiato senza transitare per il
                                     presente. Il libro nasce da questa progressiva
                                     percezione, iniziata quando, trent’anni or sono, la Corte
                                     d’Assise che allora presiedevo dovette irrogare una
                                     notevole quantità di ergastoli ai componenti di
                                     un’organizzazione criminosa che si era macchiata di
                                     molti omicidi ed altri delitti. Uno degli imputati, accusato
                                     di gravissimi crimini, in un momento di colloquio fuori
                                     udienza, mi aveva detto: «se suo figlio nasceva dove
                                     sono nato io, a quest’ora forse era lui nella gabbia, e se
                                     io nascevo dove è nato suo figlio, forse a quest’ora ero
                                     un bravo avvocato». In quella frase vidi fotografata la

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