Page 14 - FINE PENA ORA - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2017 2018
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            ELVIO FASSONE
                                     lotteria della vita, della quale lui aveva estratto un
                                     biglietto sbagliato; per questo, subito dopo la pronuncia
                                     della condanna (ergastolo, inevitabilmente), gli scrissi
                                     una lettera, che non voleva essere consolatoria ma solo
                                     un invito alla dignità e alla speranza, anche nella sua
                                     condizione. Alla lettera allegai un libro della mia raccolta
                                     personale, perché vedesse che i libri sono davvero
                                     compagni della nostra esistenza. Da quel gesto, persino
                                     un po’ temerario, è nata una corrispondenza che dura
                                     da trent’anni.
                                     Ma questa durata fuori del comune (la celebrata
                                     corrispondenza tra Abelardo ed Eloisa durò molto meno)
                                     ha un significato diverso e ulteriore: il suo inizio e
                                     il suo trasformarsi da scambio occasionale in tacito
                                     impegno stabile hanno radice in una sorta di patto
                                     che non fu mai esplicitato, ma che resse le centinaia
                                     di lettere seguenti. Quel patto era un impegno
                                     e una promessa che scaturivano da una
                                     consapevolezza presente in entrambi: che la prova
                                     cui Salvatore era chiamato si collocava ai limiti del
                                     disumano, e quindi poteva essere retta solo attraverso
                                     un supplemento d’anima fornito da entrambi: «io ti
                                     accompagnerò, tu resisterai». Questo è l’impianto
                                     sotteso, che ha attraversato i decenni.
                                     La stesura del libro nasce dal fatto che Salvatore,
                                     a un certo momento, non ha più retto. Dopo trent’anni
                                     di detenzione (la reclusione era iniziata già alcuni anni
                                     prima della mia lettera iniziale), quando era alle viste la
                                     semi-libertà e forse anche qualche cosa di più, una
                                     banale infrazione carceraria ne causa il trasferimento,
                                     la perdita delle relazioni instaurate in vista di un lavoro
                                     esterno e la fine di ogni speranza. Salvatore tenta il
                                     suicidio e viene salvato dall’intervento di un agente di
                                     custodia. Di qui il titolo del libro: Fine pena: ora.
                                     Nella lettera con la quale me ne dà notizia scrive:
                                     «Mi sono impiccato. Mi scusi, non lo farò più».
                                     Chiedere scusa per aver tentato di togliersi la vita è
                                     l’ennesima distorsione prodotta dalla detenzione: in
                                     carcere si è sempre dalla parte del torto, qualunque
                                     cosa si faccia. Ma in quel chiedere scusa io lessi anche
                                     altro, il primo implicito accenno a quel patto tacito di
                                     ventisei anni addietro: tu mi accompagnerai, io resisterò.
                                     Non ce l’aveva fatta. Aveva resistito ventisei anni, poi il
                                     carico era diventato insostenibile.
                                     Mi chiesi che cosa potessi fare, mi risposi che non
                                     avevo altra risorsa che questa: narrare la sua storia.
                                     Raccontare una sofferenza è, in piccola parte, alleviarla
                                     e risarcirla. Il libro lo dichiara espressamente.
                                     Dopo la pubblicazione, però, è uscita dal buio un’altra
                                     storia, inattesa. Molte persone si sono appassionate alla
                                     vicenda di Salvatore e hanno dato spessore a un


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