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FINE PENA: ORA
movimento di opinione che era confinato nel mondo
degli studiosi e degli operatori penitenziari: la richiesta
che sia posta fine all’istituto dell’ergastolo, o quanto
meno dell’ergastolo c.d. ostativo, quello al quale non
può essere applicato alcuno dei benefici penitenziari
intesi a mitigare la pena perpetua.
L’ergastolo, quale originariamente inteso, aveva già
ricevuto varie attenuazioni con la riforma del 1975 e con
la legge Gozzini del 1986; ma, in seguito agli assassinii
di Falcone e Borsellino, nel 1992 apparve necessario un
pesante giro di vite: agli autori di gravi crimini di natura
mafiosa non poteva più essere concesso alcun
beneficio penitenziario, a meno che il detenuto
diventasse un collaboratore di giustizia, ritenuto questo
l’unico sintomo reale di pentimento e di dissociazione
dal suo ambiente malavitoso.
Il risultato non corrispose alle attese. Pochissimi
ergastolani accettarono di collaborare. Su più di 1.600
individui che attualmente scontano la pena
dell’ergastolo, oltre 1.200 sono “ostativi”, e la
percentuale è destinata ad aumentare. Nel carcere gli
alberi tornano a crescere a rovescio, come ha intuito
ancora Alda Merini.
La Corte costituzionale, cui questo tipo di pena
perpetua fu denunciato in quanto “contrario al senso di
umanità” preteso dall’art. 27 della Costituzione, respinse
la censura replicando che una “via d’uscita” dalla
perpetuità della sanzione esiste pur sempre, ed è
rimessa alla volontà del condannato di dissociarsi dal
suo ambiente.
In realtà così non è, e la vicenda narrata lo dimostra.
Come l’uomo non è mai tutto racchiuso nel gesto che
compie, essendo l’individuo assai più ampio del suo
delitto, così la rieducazione non può essere confinata in
un solo sintomo, essendo un percorso dalle molte
opportunità: tante quante le notti insonni che il
condannato passa interrogandosi sul senso della sua vita.
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