Page 8 - FINE PENA ORA - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2017 2018
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            CONVERSAZIONE CON MAURO AVOGADRO
                                     Che tipo di emozioni hanno suscitato in te le
                                     vicende dei due personaggi?
                                     La bellezza del tradurre in scena Fine pena: ora sta nel
                                     riuscire a raccontare da un lato lo stupore di Salvatore –
                                     che mai si sarebbe immaginato coinvolto in un rapporto
                                     simile con un signore borghese dell’età di suo padre
                                     (ma che non è né può essere suo padre!), di estrazione
                                     sociale, di provenienza culturale e geografica così
                                     lontana – dall’altro la progressiva curiosità, per non dire
                                     fascinazione, del giudice nei confronti di un mondo
                                     diretto e per nulla sovrastrutturato come quello di
                                     Salvatore. In un passo del loro scambio epistolare,
                                     quando a Salvatore viene concesso il regime di
                                     semilibertà, il giudice pronuncia una frase per me
                                     emblematica: Forse che un’ora di felicità in tutto sia
                                     sufficiente nella vita? Sembra quasi che all’individuo non
                                     libero sia concesso di provare ciò che a un uomo con il
                                     vissuto e le radici del giudice pare paradossalmente
                                     precluso.
                                     Attraverso la storia di un giudice e di un carcerato
                                     raccontiamo la perenne pericolosità della diversità. In
                                     questo testo se ne parla per come le cose realmente
                                     sono: due individui agli antipodi provano un reciproco
                                     interesse che tuttavia non azzera mai la loro profonda e
                                     incancellabile differenza.
                                     Perché hai scelto di far parlare Paolo Pierobon,
                                     che interpreta Salvatore, con spiccato accento
                                     siciliano?
                                     Abbiamo lavorato sul linguaggio e sul modo in cui gli
                                     attori pronunciano le battute sempre con una finalità
                                     drammaturgica: Sergio Leone, il giudice, si esprime con
                                     un contegno volto a mascherare la curiosità che prova
                                     verso l’altro personaggio. Si trincera dietro la propria
                                     compostezza di magistrato. Dall’altra parte
                                     l’immediatezza di un personaggio primario come
                                     Salvatore chiedeva di essere rappresentata anche
                                     linguisticamente. Da qui l’accento costruito da Paolo
                                     Pierobon, un siciliano non “naturalistico” ma teso a
                                     sottolineare le zone di naïveté del suo personaggio.
                                     Occorre sempre bilanciare l’impatto emotivo che i
                                     personaggi hanno sul pubblico, per far sì che gli
                                     spettatori comprendano la fascinazione subita dal
                                     giudice ma non corrano il rischio di “innamorarsi” di
                                     Salvatore. Il giudice vive la seduzione della riabilitazione,
                                     del conoscere chi è diverso, ma tutto questo accade
                                     dopo il compimento di un atto dovuto: i sei omicidi
                                     commessi da Salvatore, anche se a soli venticinque
                                     anni, non potevano avere un esito diverso dalla
                                     condanna all’ergastolo.



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