Page 3 - FINE PENA ORA - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2017 2018
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                                     Il libro del Giudice Elvio Fassone, la drammaturgia che
                                     Paolo Giordano ne ha tratto mi hanno convinto che vi siano
                                     più livelli di approfondimento, di scrittura, di linguaggio che
                                     segnano due mondi, in quello scambio epistolare a
                                     distanza. Di sicuro il leit-motiv è l’ergastolo – argomento
                                     costantemente al centro più di discussioni che di serie
                                     riflessioni. “Strumento” di giustizia o ipocrisia dietro cui
                                     mascherare una condanna a morte civile e umana, con la
                                     formula “fine pena 31 dicembre 9999”?
                                     Sono certo, con amarezza, che il nodo non sarà mai sciolto
                                     ma sarà sempre oggetto di uno “strattonamento” tra
                                     vendetta e giustizia.
                                     Alcuni anni fa, all’interno di un altro progetto del Piccolo
                                     Teatro, un incontro a Palazzo di Giustizia, nell’aula di Corte
                                     d’Assise, vide magistrati e avvocati a confronto su testi
                                     classici: la nostra “sorpresa” fu riscontrare come fosse
                                     difficile, anche per loro, per i magistrati, chiarire la differenza.
                                     L’ergastolo è certo una pena comminata per fare giustizia,
                                     ma non esprime anche il desiderio di vendetta che la
                                     società chiede a gran voce?
                                     Che cosa c’è di diverso, di straordinario in questo testo?
                                     È la lettura, umanissima, della vita del giudicante e del
                                     giudicato.
                                     Il magistrato ha certamente compiuto il proprio dovere nel
                                     solco della legge, ma sente la necessità di leggere il vissuto
                                     di chi vive privato dello scorrere dei giorni, della speranza
                                     cui aggrapparsi, in un costante, quotidiano senza tempo.
                                     Sente il bisogno, non del perdono, ma di un possibile
                                     percorso di riscatto, prima personale e poi sociale, del
                                     condannato.
                                     L’altro elemento che colpisce è il linguaggio del Giudice e di
                                     Salvatore. Non è solo un modo di esprimersi formalmente
                                     diverso – che in Salvatore sembra evolversi sul piano della
                                     grammatica. È l’espressione, nei due, dei Codici in cui sono
                                     “costretti”: Codice Penale per il Giudice; un “codice di
                                     appartenenza” a una comunità che vorrebbe sostituirsi allo
                                     Stato di diritto quello di Salvatore.
                                     Dal testo emergono due solitudini, poste a confronto nel
                                     lungo epistolario. È una distanza che lo scambio delle
                                     lettere acuisce, ma si trasforma in un’assunzione di
                                     paternità del Giudice che non si arrende al “fine pena mai”
                                     di un altro uomo.
                                     La scelta di Mauro Avogadro di portare in scena la
                                     “drammaturgia di rapporti umani” incarnata da Sergio
                                     Leone e Paolo Pierobon in un unico ambiente, progettato
                                     con lo scenografo Marco Rossi, sottolinea con straordinaria
                                     efficacia questa vicenda umana.

                                     Sergio Escobar
                                     Direttore Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa



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