Page 11 - LEHMAN TRILOGY - STEFANO MASSINI - LUCA RONCONI - PICCOLO TEATRO DI MILANO
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CONVERSAZIONE CON LUCA RONCONI
scena per una loro psicologia o per un loro “vissuto”, ma
solo per comporre il mosaico della narrazione
complessiva, alla quale danno il loro apporto sotto forma
di discorsi diretti (pochi) e di visioni. Mi ricorda molto
Strano interludio di Eugene O’Neill.

Ci sono però zone del testo in cui prende il
sopravvento il realismo. Come muoversi in questo
continuo sbalzo fra l’immedesimazione e la
testimonianza?
Non si tratta di creare scenette dialogate interrotte da
monologhi: sarebbe micidiale. E poi il rischio maggiore io
lo avvertirei nel potere che esercita su tutta questa storia
l’immaginario cinematografico. Occorre navigare con
molta attenzione, perché c’è il pericolo sempre in agguato
di precipitare in certe atmosfere da Martin Scorsese o altri
cineasti. In quel caso si perderebbe la ragion d’essere
profondamente teatrale di questo materiale, che vive
proprio dal suo mescolare i registri e le possibilità. Io credo
che tutto il testo sia pervaso più che altro da una ricerca
ritmica, che in certi punti rallenta (soprattutto all’inizio,
quando in effetti i tempi dei personaggi sono più graduali),
poi accelera e infine diventa vorticosa (l’ultima parte è una
corsa impazzita). Questo fidarsi dei ritmi mi convince molto di
più che andar dietro alla credibilità realistica di certi dialoghi.
Un’impresa difficile per gli attori!
“Difficoltà” è una parola sempre da prendere con le molle.
Per me, caso mai, ci sono piacere e divertimento. Certo ci
vuole molta attenzione da parte di tutti. Ci vogliono senza
dubbio attori bravissimi e loro sono. Sono diversi, per età
e per formazione, ma la qualità è straordinaria. Per tutti.
Cosa vediamo in scena?
La scena non può che essere neutra, così come i costumi
che sono quasi delle tute. Ho voluto un costume che non
parlasse di per sé, ma che facesse venir fuori le facce,
fotografie in primo piano. Ritratti, primi piani, fotografie
consegnate al pubblico. Niente di storico, anche perché
sarebbe stato impossibile: con centocinquant’anni di delta
temporale, avremmo dovuto rifare la storia del costume…
sai che pedanteria…

Che tipo di fruizione consiglia al pubblico?
È un testo che ti lascia libero di distrarti, di ritornare
all’attenzione, non ha dialoghi serrati, non pretende un
contatto continuo con lo spettatore: suggerisce un
approccio nel segno della libertà.



(a cura di Eleonora Vasta)
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