Page 22 - Celestina - Piccolo Teatro Milano
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LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA
1. La verità di Celestina.
Forse scoprire la verità non è solo una faccenda di scienziati e filosofi.
Forse basta ascoltare Celestina, una vecchia prostituta che,
anticipando le scoperte che Schopenhauer e Freud faranno quattro
secoli dopo, dice: «Non ci sono che due cose vere: la prima è che
l’uomo è tenuto ad amare la donna e la donna l’uomo; la seconda è
che colui che ama deve rimanere sconvolto dalla dolcezza che si lega
al piacere supremo, perché la razza umana si perpetui come quella
dei pesci, delle bestie da soma, dei rettili, degli uccelli e delle piante
che sono maschi e femmine». Noi infatti siamo abitati da una doppia
soggettività: una che conosciamo benissimo e che chiamiamo Io, che
vive di progetti, di ideali, di mete da raggiungere, di amori, di sogni, e
l’altra, a cui non badiamo affatto, e che proprio per questo Freud,
dopo averla appresa da Schopenhauer, ha ritenuto che vivesse in noi
in modo “inconscio”, è quella che ci prevede come semplici funzionari
della specie. Questa seconda soggettività non conosce l’“amore” di
cui l’Io si nutre, forse per marcare la sua differenza dall’animale, ma
conosce solo il “sesso”, come potenza riproduttiva che torna a
vantaggio dell’economia della specie e non dell’individuo, il quale vi si
perde, ingannato dalla brevità, ma anche dall’intensità di quello che
Celestina chiama il “piacere supremo”. Fernando de Rojas (1465-
1541), l’autore di quest’opera teatrale, gioca, con quasi quattro secoli
d’anticipo rispetto a Schopenhauer e Freud, sull’ambivalenza di
questo doppio registro che riproduce la doppia natura dell’umano,
lacerato tra natura e cultura, ossia tra le esigenze della specie e gli
inganni dell’Io, che rifiuta di vedersi ridotto alla condizione dell’animale.
La cultura, infatti, e non la natura, ha cerato i sentimenti, le passioni, gli
investimenti, le idealizzazioni, persino la letteratura, per mascherare e
conferire nobiltà a quell’unione dei sessi che ha nel corpo la sua
espressione, e nell’anima la sua fragile maschera. «Il corpo, il corpo –
fa dire Fernando de Rojas a uno degli attori – il corpo di quella donna,
il corpo». Per questo Nietzsche, quattro secoli dopo, può dire: «Mi
suscita sempre una grande ilarità quella frase castigata che gli uomini
sono soliti ripetere alle donne: “Non è il tuo corpo, ma la tua anima
che amo”».
2. L’amore nell’uomo e nella donna.
Ancora Nietzsche ci ricorda che «Le stesse passioni nell’uomo e nella
donna hanno un tempo diverso: perciò uomo e donna non cessano di
fraintendersi». In questi fraintendimenti si inserisce Celestina per trarre
il suo profitto, con i suoi filtri per riconciliare gli amori infelici, con l’ago e
col filo per ricostruire la verginità a chi l’ha perduta, con le promesse
ingannevoli a cui si affidano gli innamorati persi d’amore, perché la sua
esperienza le ha insegnato che «Tutto è desiderio, nient’altro che
desiderio, che forza le più caste intenzioni». E su questo concorda
anche Nietzsche là dove scrive: «Infine si ama il proprio desiderio, e
non quel che si è desiderato». Il desiderio è “natura” che risponde
all’interesse della specie, che però, per non apparire tale, deve
rivestirsi di quella nobiltà che la “cultura” dispensa fino all’iperbole:
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