Page 18 - Celestina - Piccolo Teatro Milano
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RAPPRESENTARE LA “CELESTINA” Carlo Emilio Gadda
teatro moderno comporta anzitutto sfrondare la lungaggine del

testo e stringere in più raccolto gomitolo (in più sobrie architetture)
quella matassa di andirivieni e di visite che infoltisce la trama di

tutte l’erbacce dell’espediente (se pur valido): la Celestina è la
commedia delle visite e delle controvisite, oltreché degli incontri e
dei convegni d’amore. (Incontri fra servi e ragazze e bravi,

convegni fra i due amanti). Poi bisogna ridurre la trascrizione a un
italiano parlato, e ai modi espediti del teatro nostro. La traduzione

di Corrado Alvaro (“La Celestina” di Fernando de Rojas, a cura di
Corrado Alvaro, Bompiani Collezione universale) è fatica delle più
nobili, delle più utili: ci consente una lettura delle più felici: fedele al

testo, non è sufficientemente articolata da regger la scena.
La trascrizione per la scena dovrebbe appoggiarsi a un ben
definito tipo di parlata corrente (della piccola borghesia romana, o

fiorentina sciolta, o della borghesia del nord). Eventuali inflessioni
regionali o addirittura dialettali per alcuni personaggi. Vedrei
divertendomi una Celestina molisana, o molisano-romanesca. La

frase va spezzata, e articolata su moduli reali. L’aggruppamento
della materia in cinque atti e una netta divisione in scene mi

paiono indispensabili. Grave difficoltà da risolvere è quella della
scena trasferita, della “scena che rincorre i personaggi”,
accettabile alle farándulas e bojigangas del teatro cinquecentesco

che recitavano magari sotto gli olmi “pidiendo limosnas en el
sombrero”: non certo al teatro nostro di oggi, dov’è postulata la

stabilità topica della scena e, forse, dell’intero atto.La nostra scena
fatica troppo a rincorrere Celestina e Sempronio e le ragazze da
un luogo all’altro: e a dar loro il fiato da monologare e da leticare

strada facendo. Il suicidio di Melibea è narrato e refertato, non
sceneggiato. Come ridurre nella unità scenica le concomitanze
multiple dell’azione, e le dislocazioni divergenti? la torre, le scale, il

padre in giardino, lei in camera, il volo dalla finestra? E poi, con
mano casta e robusta, sfrondare la tragicommedia di troppa
sentenziosità e parenèsi, di certo proverbiante buon senso (un po’

all’italiana: e parecchio uggioso, a volte). Infine, le soluzioni
pensabili mi paion due. O mantenere alla Celestina il suo carattere

e la sua ambientazione iberica, preservandone anche il tono
cavalleresco-spagnolesco-moralistico-ascetico, al che si
richiederebbe una verve e una disciplina ricreativa di qualità

filologico-romantica: per non cadere in un surrealismo deteriore,
da melodramma scaduto. O estrarre la gemma del dramma (con

le sue figure centrali) dal castone storico e avvalorarne una
Celestina ammodernata o almeno ottocentesca, senza tuttavia
perdere per istrada la speciosa materia magico-diavolesca,

nonché la chirurgico-profumieresca, tanto congeniali alla di lei
persona. Entrambe le soluzioni dimandano impegno e fatica:
perizia linguistica e cognizione di una prammatica e di un

ambiente che non è facile scrutare a fondo, chi non li pratichi per
cagioni di mestiere.
1945


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