Page 16 - Celestina - Piccolo Teatro Milano
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RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”
Nata, si opina, fra il 1484 e il 1492, la Tragicomedia de Calisto y
Melibea fu messa a stampa in Burgos nel 1499 (sedici atti), indi a
Siviglia nel 1501; e ancora a Siviglia nel 1502 (ventun atti).
L’aggiunta o meglio interpolazione sivigliana di quattro atti interi e
due pezzi si inserisce nell’ex 14° atto, che venne pertanto a
sdoppiarsi nel capo del nuovo 14° e nella coda del nuovo 19°. Il
testo ampliato non palesa discontinuità gravi o di maniera o di
tono, tali cioè da rompere l’unità morale e stilistica e la sostanziale
coerenza drammatica del lavoro. Il titolo abbreviato (Celestina) gli
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tocca l’immagine per ingrandirla provenne dalla traduzione italiana del 1506. Coeva della guerra di
Granata (1482-1492) e, in senso lato, della prima spedizione
colombiana (1492-1493) la Celestina è opera mutuatrice di idee,
di temi, di immagini, di modi dall’antico mondo e costume al
nuovo e perenne. Risente di influenze spagnole prossime e
comporta le possibilità di una rappresentazione mobile,
scenicamente elastica, quale potevano darle certe bojigangas o
farándulas o compañias degli anni di Isabella e Ferdinando, sulla
piazza di un pueblo valenciano o in un improvvisato teatrino
manchego. Il personaggio principale deriva un po’ dalla Trota-
conventos di Juan Ruiz arciprete di Hita (vivo nel 1415?) libero
traduttore dell’Ovidio erotico, interprete della Bibbia nella linea
quasi grottesca di una prammatica erotica, divoto alla tradizione
dei testi ghiotti, infaticato lavorante del mester de clerecia. Il lavoro
tutto porge, forse, al lirismo di Lope de Vega il tipo o almeno
l’abbozzo del gracioso (attor giovine): e a Tirso de Molina avalla
invece quella franchezza viva della pittura e della battuta, quella
trascrizione obiettiva e impersonale d’una perenne crisi del
costume: onde si apparenta anche per noi all’Ariosto minore e in
certa misura al Folengo; e prelude a certe posizioni più raffinate di
La Fontaine e, più schematiche, del racconto di Voltaire. Ma
l’autore uno-bino della Celestina ha ben dimestico Plauto (Sosia è
il nome del servo nell’Amphitruo) e frequenta letteralmente il genio
latino-spagnolo di certi argentei: per quel modo cosiddetto cinico,
invero stupendamente disancorato, del ritrarre; per la tensione
icastica a momenti epigrammatica (Marziale): per certo aspetto
moraleggiante alquanto cupo, e pure vivido, caldamente colorato,
spagnolettesco: che si libra a mezz’aria e a metà cammino fra
Seneca e il Petrarca intimista del Secretum e delle Familiari: il
Petrarca appassionato lettore delle Confessioni agostiniane. Nel
testo rivive il tono di certa parenèsi discettante del De remediis
Riproduciamo il saggio utriusque fortunae, da cui non infrequenti nel testo o imitazioni o
di Carlo Emilio Gadda traduzioni o parafrasi. Se la italianizzata Celestina venne a mano
(tratto da I viaggi la allo autore della Mandragola, e a quelli della Cortigiana e del
morte, Milano, Garzanti Candelaio, una traduzione inglese (già esistente verso il 1530)
1958-2001) dové cader sott’occhio anche al Marlowe e allo Shakespeare.
al quale Luca Ronconi Direi che il lungo monologo di Calisto angosciato e quasi
fa riferimento nella impazzito (atto XIV, scena 8 ) include l’embrione tecnico di quello
a
conversazione di Amleto. Anche nel motivo tipicamente amletico-clinico-
delle pagine precedenti
sintomatologico dell’“esaurimento nervoso”. Se pure vi sono
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