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NEL TEMPO DEGLI DEI 2.qxp_00  11/03/19  10:11  Pagina 7






                                     ULISSE, L’UOMO CHE NON VOLLE
                                     FARSI DIO
                                     conversazione con Marco Paolini









                                     Comincerei dalla fine, per parlare della riscrittura
                                     che, con Francesco Niccolini, avete tratto
                                     dall’Odissea omerica. Partirei cioè dalla scena in cui
                                     Ulisse, smessi i panni del mendicante, indossa quelli
                                     del vendicatore e massacra i Proci. Avete conferito a
                                     quel momento una luce sinistra e atroce, come se
                                     Ulisse non fosse tanto colui che ristabilisce la
                                     giustizia, ma un serial killer fuori controllo.
                                     Ulisse compie il destino insensato che gli dèi hanno
                                     stabilito per lui e che l’indovino Tiresia gli aveva predetto.
                                     Leggendo la scena nell’originale omerico, ci siamo accorti
                                     che durava un’eternità. Centootto persone sono tante: è
                                     un’autentica “ecatombe”, letteralmente “il sacrificio di
                                     cento”. Come può un simile oltraggio alla vita essere
                                     comandato da un dio? Perché gli dèi omerici, in quanto
                                     immortali, godono del lusso di un tempo infinito e talvolta
                                     lo occupano costringendo gli uomini a commettere azioni
                                     anche riprovevoli. Così accade a Ulisse, che attua il suo
                                     destino uccidendo i Proci, ma poi va al di là della propria
                                     missione: non solo l’omicidio delle ancelle “traditrici” – le
                                     dodici donne ree di essersi concesse ai Proci – non gli era
                                     stato ordinato dagli dèi, ma nel commetterlo dà prova di
                                     una crudeltà eccezionale; prima ordina alle ragazze di
                                     ripulire da cima a fondo la stanza dove è avvenuta la
                                     strage poi, quando hanno terminato, tende una corda e le
                                     impicca. Da lì, per noi, inizia il suo nuovo percorso, la
                                     scelta di pagare vivendo. Ed è quello che volevamo
                                     raccontare.

                                     Ed è paradossale, dal momento che per gli dèi non
                                     era colpevole.
                                     Non è l’unica volta in cui Ulisse si pone di traverso alla
                                     benevolenza divina. Lo aveva già fatto rifiutando
                                     l’immortalità offertagli dalla dea Calipso, inopportuna
                                     perché lo avrebbe reso superiore ai propri simili. Ulisse non
                                     solo non aspira ad essere eterno, ma all’opposto rivendica
                                     il diritto di completare la propria vita in mezzo all’errore, di
                                     correre il rischio di essere una persona riprovevole, di
                                     ammalarsi, di soffrire, di vivere e morire insomma.

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