Page 7 - IFIGENIA LIBERATA - PICCOLO TEATRO MILANO - STAGIONE 2016/2017
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IFIGENIA E IL CONTAGIO
DELLA VIOLENZA
conversazione con Carmelo Rifici
Perché “Ifigenia, liberata”?
Non mettiamo in scena Ifigenia in Aulide, bensì
compiamo un’operazione su Ifigenia in Aulide, trattando
la tragedia di Euripide come il cardine su cui si regge
tutto l’universo bibliografico che abbiamo utilizzato.
La parola “liberata” indica il lavoro svolto sul testo:
“liberare” Ifigenia dalle strettoie del mito, che narra di
un’Ifigenia salvata da Artemide e trasportata in Tauride,
mentre al suo posto è sacrificata una cerva, così da
consentire la partenza delle navi degli Achei bloccate in
Aulide dalla bonaccia. Sveliamo come un’invenzione
drammaturgica sia finalizzata a nascondere la colpa della
folla che ha desiderato la morte della ragazza,
esattamente come, nella tradizione giudaico cristiana,
il Cristo è vittima sacrificale che riconcilia gli animi e per
questo divinizzata. Il concetto di “liberazione” allude
sicuramente a quella “verità che rende liberi” ma anche
a una visione “più libera” del mito, nel momento in cui
se ne smascherino i sottintesi. Nel nostro spettacolo,
Ifigenia è tutt’altro da un’ignara e innocente ragazza:
entra in scena da innocente per uscirne ben
consapevole del danno che sta per provocare.
Perché proprio il personaggio di Ifigenia?
Perché è il primo sacrificio sbagliato che è stato
raccontato. Ci siamo appassionati a uno studio
antropologico sul primo rito sacrificale, sul rito come
bisogno dell’essere umano di razionalizzare il proprio
impulso alla violenza. Dalle origini del vivere in comunità,
esiste una ritualizzazione della morte inflitta. Ifigenia è il
primo rituale sbagliato, in quanto priva di quei segni
vittimari che potrebbe suggerire a chi le sta intorno la
necessità di ucciderla.
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