Page 24 - LEHMAN TRILOGY - STEFANO MASSINI - LUCA RONCONI - PICCOLO TEATRO DI MILANO
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SERGIO ROMANO
diventavano continentali, tanto più le banche diventavano
grandi e potenti.
Qualche studioso, appellandosi a un grande sociologo
tedesco (Max Weber), ha visto nello sviluppo del
capitalismo, dopo la rivoluzione industriale, la mano di Dio,
il contributo fondamentale di un forte sentimento religioso,
il rigore ascetico di chi crede che il denaro e la grazia
divina siano due volti di una stessa medaglia.
A me sembra che i principali ingredienti del capitalismo
americano siano l’ottimismo, la spregiudicatezza, la
insaziabile voglia di ricchezza e la disponibilità dello Stato
a consentire che ogni sperimentazione abbia diritto a una
fase in cui le briglie sul collo, per chiunque abbia una idea
o un progetto, siano le più sciolte possibili.
Le regole, generalmente, arrivano soltanto quando i
giocatori, dopo essersi azzuffati per vincere, si accorgono
di averne bisogno. Il migliore capitalismo possibile non è
quello in cui tutti agiscono impeccabilmente sin dal primo
giorno. È quello in cui ogni nuova esperienza impartisce
lezioni da tradurre in leggi dello Stato. Quasi tutte le
migliori norme del capitalismo americano sono il risultato
di una lezione appresa e digerita. È sempre possibile
mentire, ma la menzogna, prima o dopo, finisce per
ritorcersi contro il bugiardo. È possibile falsificare i bilanci,
evadere le tasse, ingannare gli azionisti, comprare con
qualche regalia la benevolenza dei governi e dei pubblici
funzionari. Ma lo scandalo, quando scoppia, distrugge la
fiducia nell’impresa o nella banca, un bene di cui, in ultima
analisi, non è possibile fare a meno.
Qualche anno fa, durante una memorabile crisi, il Wall
Street Journal ricordò che cosa accadde in America negli
anni Settanta dell’Ottocento. Allorché la conquista
dell’Ovest e la vittoria del Nord nella guerra di secessione
allargarono enormemente le dimensioni dello Stato, le
ferrovie promisero che avrebbero trasformato il nuovo
spazio americano in un grande “mercato unico”. Il risultato
fu una febbre della rotaia che buttò all’aria, sempre che
esistessero, tutti i principi dell’etica protestante.
Lo scandalo più grave scoppiò nel 1872 quando i
proprietari della Union Pacific crearono una banca (il Crédit
mobilier) per riciclare denaro destinato ai dirigenti della
società e agli uomini politici con cui avevano contratto un
debito di riconoscenza. La Borsa di New York dovette
chiudere per dieci giorni, parecchie società ferroviarie
fallirono, il paese cadde in una fase recessiva destinata a
durare fino al 1877. Ma verso il 1880 le ferrovie
cominciarono a produrre gli effetti desiderati e l’America
riprese a crescere impetuosamente. La lezione era stata
appresa. Nel 1890 il Congresso approvò lo Sherman
Antitrust Act e il sistema economico americano cominciò
ad assumere i caratteri che hanno garantito lunghe fasi di
crescita.
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diventavano continentali, tanto più le banche diventavano
grandi e potenti.
Qualche studioso, appellandosi a un grande sociologo
tedesco (Max Weber), ha visto nello sviluppo del
capitalismo, dopo la rivoluzione industriale, la mano di Dio,
il contributo fondamentale di un forte sentimento religioso,
il rigore ascetico di chi crede che il denaro e la grazia
divina siano due volti di una stessa medaglia.
A me sembra che i principali ingredienti del capitalismo
americano siano l’ottimismo, la spregiudicatezza, la
insaziabile voglia di ricchezza e la disponibilità dello Stato
a consentire che ogni sperimentazione abbia diritto a una
fase in cui le briglie sul collo, per chiunque abbia una idea
o un progetto, siano le più sciolte possibili.
Le regole, generalmente, arrivano soltanto quando i
giocatori, dopo essersi azzuffati per vincere, si accorgono
di averne bisogno. Il migliore capitalismo possibile non è
quello in cui tutti agiscono impeccabilmente sin dal primo
giorno. È quello in cui ogni nuova esperienza impartisce
lezioni da tradurre in leggi dello Stato. Quasi tutte le
migliori norme del capitalismo americano sono il risultato
di una lezione appresa e digerita. È sempre possibile
mentire, ma la menzogna, prima o dopo, finisce per
ritorcersi contro il bugiardo. È possibile falsificare i bilanci,
evadere le tasse, ingannare gli azionisti, comprare con
qualche regalia la benevolenza dei governi e dei pubblici
funzionari. Ma lo scandalo, quando scoppia, distrugge la
fiducia nell’impresa o nella banca, un bene di cui, in ultima
analisi, non è possibile fare a meno.
Qualche anno fa, durante una memorabile crisi, il Wall
Street Journal ricordò che cosa accadde in America negli
anni Settanta dell’Ottocento. Allorché la conquista
dell’Ovest e la vittoria del Nord nella guerra di secessione
allargarono enormemente le dimensioni dello Stato, le
ferrovie promisero che avrebbero trasformato il nuovo
spazio americano in un grande “mercato unico”. Il risultato
fu una febbre della rotaia che buttò all’aria, sempre che
esistessero, tutti i principi dell’etica protestante.
Lo scandalo più grave scoppiò nel 1872 quando i
proprietari della Union Pacific crearono una banca (il Crédit
mobilier) per riciclare denaro destinato ai dirigenti della
società e agli uomini politici con cui avevano contratto un
debito di riconoscenza. La Borsa di New York dovette
chiudere per dieci giorni, parecchie società ferroviarie
fallirono, il paese cadde in una fase recessiva destinata a
durare fino al 1877. Ma verso il 1880 le ferrovie
cominciarono a produrre gli effetti desiderati e l’America
riprese a crescere impetuosamente. La lezione era stata
appresa. Nel 1890 il Congresso approvò lo Sherman
Antitrust Act e il sistema economico americano cominciò
ad assumere i caratteri che hanno garantito lunghe fasi di
crescita.
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