Page 17 - LEHMAN TRILOGY - STEFANO MASSINI - LUCA RONCONI - PICCOLO TEATRO DI MILANO
P. 17
CONVERSAZIONE CON STEFANO MASSINI
Lawrence McDonald, che era vicepresidente di Lehman al
momento del crollo, non ebbe problemi a dichiarare che
nessuno di loro aveva idea di quanti e quali fossero i debiti
della banca. Perfino i corteggiamenti dei vari esponenti della
famiglia Lehman sono sempre più affetti dal morbo della
spersonalizzazione, tendono a diventare partite aritmetiche,
calcoli di opportunità, e culminano con l’incapacità di
Bobbie Lehman di gestire le proprie mogli, rifugiandosi non
a caso nell’ipocondria. Evidentemente è un simbolo della
spirale in cui si è avvolta la nostra società post-bellica,
anch’essa fuggita dal contatto con le cose (considerato
degradante) e oggi ostaggio delle sue psicosi. Le tre
generazioni dei Lehman tentano di cogliere diverse fasi
dell’ascesa-apoteosi-crollo dell’impero dei consumi, ed è
anche per questo che la trilogia delinea il crepuscolo di
un’epoca.
Come “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Kraus, un
grande spettacolo ronconiano. Viene da pensare che
la vostra collaborazione nasca anche dalla volontà di
ricordare agli spettatori che la Storia esiste e che il
teatro è un luogo in cui osservare dall’interno il suo
scorrere, spesso impercettibile.
Una volta mi è successo di usare quasi per caso
l’espressione “biopsia della Storia”. Credo che sia efficace a
significare quello che penso: il teatro è il luogo preposto a
notomizzare i fatti, verificare le ragioni dei collassi e dei
processi degenerativi. Quindi una forma di critica storica,
condivisa.
Ronconi ha accostato “Lehman Trilogy” alla
Tetralogia wagneriana. Qui come in Wagner –
soprattutto nel Wagner di Ronconi – ci sono grandiosi
inganni economici, uno scontrarsi di forze fondate
sull’accumulo e la raccolta dei beni e una rete
formale che consente di muoversi fra dettagli e
grandi proporzioni. Ma, alla base di tutto, c’è anche
qui, come in Wagner, un germe sfuggente? Qualcosa
fra intuizione e necessità personale?
C’è il presentimento di uno snodo storico: il collasso della
borghesia, conseguente al collasso del lavoro nelle forme in
cui esso ci è stato consegnato dall’epoca moderna. Non
scordiamo che il tema del lavoro è nel DNA del ceto medio,
e che tutto il teatro moderno è a sua volta proiezione di
quest’ultimo. Adesso che il concetto stesso di lavoro è in
vorticosa ridefinizione, la borghesia si trova allo sbando.
Forse ci sentiamo tutti obliqui sul ponte del Titanic.
Veniamo alla forma. La scrittura di “Lehman Trilogy”
è teatrale per via del ritmo verbale, del montaggio dei
dati e delle situazioni, ma teatrabile relativamente alle
azioni sceniche degli attori, che possono essere uno
17
Lawrence McDonald, che era vicepresidente di Lehman al
momento del crollo, non ebbe problemi a dichiarare che
nessuno di loro aveva idea di quanti e quali fossero i debiti
della banca. Perfino i corteggiamenti dei vari esponenti della
famiglia Lehman sono sempre più affetti dal morbo della
spersonalizzazione, tendono a diventare partite aritmetiche,
calcoli di opportunità, e culminano con l’incapacità di
Bobbie Lehman di gestire le proprie mogli, rifugiandosi non
a caso nell’ipocondria. Evidentemente è un simbolo della
spirale in cui si è avvolta la nostra società post-bellica,
anch’essa fuggita dal contatto con le cose (considerato
degradante) e oggi ostaggio delle sue psicosi. Le tre
generazioni dei Lehman tentano di cogliere diverse fasi
dell’ascesa-apoteosi-crollo dell’impero dei consumi, ed è
anche per questo che la trilogia delinea il crepuscolo di
un’epoca.
Come “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Kraus, un
grande spettacolo ronconiano. Viene da pensare che
la vostra collaborazione nasca anche dalla volontà di
ricordare agli spettatori che la Storia esiste e che il
teatro è un luogo in cui osservare dall’interno il suo
scorrere, spesso impercettibile.
Una volta mi è successo di usare quasi per caso
l’espressione “biopsia della Storia”. Credo che sia efficace a
significare quello che penso: il teatro è il luogo preposto a
notomizzare i fatti, verificare le ragioni dei collassi e dei
processi degenerativi. Quindi una forma di critica storica,
condivisa.
Ronconi ha accostato “Lehman Trilogy” alla
Tetralogia wagneriana. Qui come in Wagner –
soprattutto nel Wagner di Ronconi – ci sono grandiosi
inganni economici, uno scontrarsi di forze fondate
sull’accumulo e la raccolta dei beni e una rete
formale che consente di muoversi fra dettagli e
grandi proporzioni. Ma, alla base di tutto, c’è anche
qui, come in Wagner, un germe sfuggente? Qualcosa
fra intuizione e necessità personale?
C’è il presentimento di uno snodo storico: il collasso della
borghesia, conseguente al collasso del lavoro nelle forme in
cui esso ci è stato consegnato dall’epoca moderna. Non
scordiamo che il tema del lavoro è nel DNA del ceto medio,
e che tutto il teatro moderno è a sua volta proiezione di
quest’ultimo. Adesso che il concetto stesso di lavoro è in
vorticosa ridefinizione, la borghesia si trova allo sbando.
Forse ci sentiamo tutti obliqui sul ponte del Titanic.
Veniamo alla forma. La scrittura di “Lehman Trilogy”
è teatrale per via del ritmo verbale, del montaggio dei
dati e delle situazioni, ma teatrabile relativamente alle
azioni sceniche degli attori, che possono essere uno
17