Page 13 - MISERICORDIA | PICCOLO TEATRO MILANO
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sulle tavole. L’olocausto dell’amore, del desiderio e del
senso. Ma fate attenzione, sembra dire Emma Dante: è
questo il senso vero e profondo. Il senso vero e
profondo è l’olocausto. A questo banchetto dell’essere
Misericordia guarda senza esitazione, forse più di ogni
altro suo spettacolo.
Tre donne, Anna, Nuzza e Bettina, fanno la maglia.
Preparano gli scialletti che vendono in quella che
potrebbe essere una minuscola officina di maglieria.
Con loro abita un picciutteddu, Arturo, che non sta mai
fermo. Ogni sera Arturo si affaccia alla finestra per
vedere passare la banda e, come fosse il teatro delle
marionette di Mangiafuoco, sogna che lo portino via.
Non perché stia male dove sta, ma perché Arturo, come
Pinocchio, è pieno di una smania che gli fa muovere le
gambe e andare, che lo porterebbe nel paese dei
Balocchi o nel ventre della Balena, se solo sapesse farlo.
Ma Arturo, a differenza di Pinocchio, non sa fare niente.
Non sa parlare, non sa ascoltare e non sa neanche
camminare molto bene. Per questa ragione le tre donne
se ne prendono cura.
Arturo è caduto sulla scena dalle curve dei giorni
passati, dei quali piano piano scopriremo i dettagli.
Proprio come i pezzetti dei giocattoli che conserva in un
saccone della spazzatura e con i quali si trastulla tutto il
giorno. In un continuo spargere e raccogliere che ricorda
una marea, l’onda che spazza la spiaggia e cancella
tutto quello che, inutilmente, abbiamo scritto o costruito.
Il palcoscenico di Misericordia è come sabbia, che ogni
giorno ricorda e ogni giorno dimentica.
La misericordia è un attributo di dio – in quanto giudice
benigno e soccorritore di uomini – ed è anche il nome di
un pugnale col quale si assestava il colpo di grazia. Ma
la misericordia è soprattutto un sentimento attraverso il
quale veniamo a patti con la brutalità dello stare nel
mondo, di una nascita feroce e ingiusta. Questo
racconta lo spettacolo di Emma Dante. All’inizio c’è una
violenza, alla fine c’è una resa. Nel mezzo si lotta per
mantenere almeno la propria posizione, per rimanere in
piedi, per non cadere sempre.
Le tre donne sono affamate, lacere. La convivenza è
aspra, aizza i sospetti tra loro. C’è poco di tutto, cibo,
denaro. C’è poco amore, perché è insensato cercare
amore nella giungla. Ma c’è misericordia, a sufficienza
da convincere le tre donne a non rinunciare, nonostante
tutto, a occuparsi di Arturo, nato disgraziato da una
madre disgraziata. Anna, Nuzza e Bettina sono madri
puttane sante, belve in una gabbia, fuori dalla quale non
c’è niente di buono per loro. Da fuori arrivano i clienti, da
fuori arrivano le botte e per il fuori si agghindano e si
offrono, in una mascherata spaventosa. Ma fuori c’è
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