Page 12 - MISERICORDIA | PICCOLO TEATRO MILANO
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UN’INDECENTE MISERICORDIA
                               di Elena Stancanelli











                               Nel teatro di Emma Dante alla persona non corrisponde
                               mai un’identità. Nessuno dice io. Tutti si guardano
                               intorno sperando sia l’altro, quello accanto, a dargli
                               qualche indicazione, a dirgli chi è. Come non ci sono
                               luoghi, se non generiche reclusioni, così non ci sono
                               psicologie. Chiunque è spaesato e si arrabatta.
                               Si muove cercando di non cadere, di tenersi in piedi
                               come può. Aggrappandosi, scivolando e tirandosi su,
                               offrendosi in sacrificio. Gli abiti sono stracci
                               intercambiabili, i corpi nudi sono strazianti e straziati.
                               Al centro di questo palcoscenico che è un mondo
                               primordiale c’è invece un dolore, il peccato originale
                               dell’esistenza. E quel dolore è un continuo mancare e
                               mancarsi.
                               I personaggi di Emma Dante mancano gli obiettivi.
                               O li hanno mancati, o li mancherebbero qualora li
                               affrontassero. Anche semplicemente quello di riuscire a
                               uscire di casa in un giorno qualsiasi, o incontrare la
                               persona che crediamo ci aspetti, o diventare adulti. C’è
                               un incantesimo che grava su ogni minimo avvenimento
                               della drammaturgia e impedisce alle cose di accadere.
                               La vita è già stata, è fuori, è ieri. Ogni movimento, ogni
                               tentativo che avviene sulla scena è segnato da questa
                               nostalgia, la malinconia delle cose perdute. Che però
                               sono sempre state perdute, anche mentre si
                               perdevano. 
                               Non si pensi, infatti, che nel passato ci sia stato un Eden
                               da cui si è stati cacciati, governato da giovinezza,
                               bellezza, armonia. Non è vero. Per quanto Emma Dante
                               ci concede di sapere, non c’è nessun tempo favoloso
                               indietro. Piuttosto un incessante lavorìo, un mostro che
                               tritura e restituisce macerie. Quel materiale organico e
                               inorganico che ogni tanto spunta dalle quinte, rotola dal
                               fondale. Resti irriconoscibili di un intero che nessuno più
                               conosce. A volte sembra quasi di sentirlo quel mostro,
                               accovacciato in un angolo, al buio. Sembra quasi di
                               sentire gli scricchiolii delle sue mascelle. 
                               Compito di chi sta sul palcoscenico è prendersi cura di
                               quell’apocalisse che è approdata lì, che giace a pezzi

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