Page 8 - UOMINI E NO - STAGIONE 2017-2018 - PICCOLO TEATRO MILANO
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CONVERSAZIONE CON CARMELO RIFICI
parte della città in cui vivono. Non è detto che l’una o
l’altra modalità debbano per forza essere una giusta
e l’altra sbagliata. La mia è la semplice constatazione
che, pur trovandoci in una città cosmopolita, aperta a
qualunque etnia, registriamo una innegabile perdita
di appartenenza che va di pari passo con la
riduzione dell’impegno: se non mi riconosco nello
spazio in cui vivo, non mi impegnerò al fine di
rendere quello spazio più vivibile. Al di là del
racconto sulla Resistenza e sul rapporto di Milano
con il nazifascismo, la trama nascosta del testo che
voglio emerga nello spettacolo è la percezione della
scomparsa di un mondo.
Michele Santeramo la definisce perdita dell’incanto,
dell’incantesimo che permea i rapporti dei
personaggi tra loro e con la realtà circostante.
E se è vero che Milano rimane una città piuttosto
sbalorditiva, in costante relazione con il futuro, è
altrettanto vero che lo spettatore può domandarsi se
quella vocazione a essere città “metafisica”, dove la
gente, arrivando, ritrovava qualcosa di sé, esista
ancora.
È anche vero che quei giovani stavano
combattendo una guerra civile. Oggi per fortuna
non accade...
Non è solo il problema politico della guerra civile.
Quei giovani attribuivano tutt’altro spessore ai rapporti
interpersonali, al legame di ciascuno di loro con il
proprio spazio. Prendiamo la scena in cui Berta
racconta di non vivere più a Milano perché la casa in
cui abitava con il marito è bruciata. Nelle prime
prove, i giovani attori la recitavano come se dicessero
“domani sarò a Londra, poi a Bruxelles…” lasciando
intendere cioè di non attribuire un significato speciale
al rapporto con il territorio. Anche questo non serviva
a mettere il dato nelle caselle del giusto o dello
sbagliato, ma solo a registrarne la differenza. Eppure
il rapporto con lo spazio, anche scenico, va
oggettivato: dovrebbe esserlo anche se
interpretassero Cechov, dal momento che i
personaggi cechoviani hanno un legame totalizzante
con il proprio luogo di origine. I giovani attori devono
provare ad acquisire questa consapevolezza e
colmare, attraverso il teatro, i vuoti prima riempiti
dalla società, dalla famiglia, dal percorso di istruzione
individuale.
In che modo?
Vi sono personaggi nel testo di Vittorini – penso a
Selva – che alludono a un tipo di femminilità
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