Page 10 - UOMINI E NO - STAGIONE 2017-2018 - PICCOLO TEATRO MILANO
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            CONVERSAZIONE CON CARMELO RIFICI
                                     Vittorini? Quali conseguenze comporta la sua
                                     incapacità di riconoscere che il distruttore è già
                                     dentro? Per quanto riguarda i costumi di Margherita
                                     Baldoni, ho pensato che per un cast di interpreti così
                                     giovani la relazione con l’abito fosse un appiglio e
                                     non si potesse risolverla metafisicamente come
                                     abbiamo fatto per le scene. Cosa significa indossare
                                     un costume? Aiuta gli attori a entrare nel personaggio
                                     o è un filtro tra loro e lo spettatore? Se è così, come si
                                     supera quella barriera? Come un giovane attore può
                                     affrontare il problema? Facciamoglielo sperimentare.

                                     Che tipo di richieste hai fatto agli attori per aiutarli
                                     a entrare nei propri personaggi?
                                     Oggi un giovane attore non ha l’immediata
                                     predisposizione a colmare la gamma di passione ed
                                     emozione che lo separa dal personaggio, soprattutto
                                     da caratteri come quelli di Uomini e no. Il cinismo
                                     contemporaneo, la velocità dei tempi hanno spostato
                                     l’asse di racconto, l’universo simbolico di un attore.
                                     Egli deve chiedersi che tipo di disagio, di emozione
                                     susciti in lui la distanza dal personaggio e da un
                                     mondo scomparso. Ho chiesto loro di gettarsi a
                                     capofitto in quella distanza, di annegarvi,
                                     coraggiosamente e con grande generosità, senza
                                     porsi limiti. Mi sembra che lo facciano e siano riusciti
                                     a nuotare dentro questo “mare” di separazione fra la
                                     Milano del 2017 e la Milano del 1944. Lo spettacolo
                                     potrà apparire straniante, all’inizio, perché la scrittura
                                     di Vittorini – e qua è stato molto bravo Santeramo a
                                     ricrearla in teatro – come una ragnatela, ha le maglie
                                     esterne più larghe; poi però, a un dato momento, ti
                                     cattura ed è finita: sei prigioniero.




















                                     (a cura di Eleonora Vasta)


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