Page 9 - UOMINI E NO - STAGIONE 2017-2018 - PICCOLO TEATRO MILANO
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LA PERDITA DELL’INCANTO IN UNA MILANO METAFISICA
“matriarcale” oggi estinta, per lo meno nel nostro
mondo occidentale, sia in quanto codice filosofico,
sia da un punto di vista “fisiologico”, dal momento
che quella fisicità, così comune alle nostre nonne, si
è dissolta. E se alla mia generazione non occorreva
spiegare chi sia una matriarca, a un giovane
pubblico di oggi dobbiamo raccontarlo. Lo stesso
vale per il sentimento che esiste tra Enne 2 e Berta,
relazione che non può evolvere perché Berta è
sposata. Chi vi farebbe caso oggi? Eppure è
fondamentale che i giovani che interpretano quei ruoli
recuperino i codici di comportamento alla base dei
personaggi, altrimenti non potranno mai renderli in
maniera autentica né potranno dare un senso a tutto
il resto del dramma: difatti se Berta vive come
inattuabile la propria relazione con Enne 2, allo
stesso modo per Enne 2 è impossibile accettare la
liberazione o per Selva vivere una giornata di
felicità… È l’assoluto ciò di cui vanno in cerca.
La scena su cui si svolge l’azione, il tram che
attraversa il Teatro Studio, è di grande di impatto.
Da dove nasce l’idea?
Mi sembrava che il tram fosse un segno forte di
Milano. Il testo di Vittorini trasforma la topografia
milanese in una città metafisica, con piazze, strade,
luoghi che risultano metaforici, simbolici,
trascendentali… Così, con le scene di Paolo
Di Benedetto illuminate da Claudio De Pace,
abbiamo ricreato un tram “metafisico”, diviso a metà
per rappresentare la ferita di una Milano colpita,
tagliata in due. Era una città pericolosa, dove la
mattina si usciva di casa senza essere certi di farvi
ritorno. Volevamo restituire quella precarietà
attraverso un tram destrutturato, una zattera di
salvataggio, un luogo al quale i personaggi si
aggrappano per rimanere a galla. La Milano di
Vittorini è molto ben sintetizzata dall’abbondanza di
mezzi di locomozione: tram, automobili, veicoli
militari, biciclette… È una città in simbiosi con i propri
mezzi di trasporto.
Una scena antinaturalistica e costumi invece
realistici...
Non credo nel naturalismo a teatro: sempre di più
penso che sia una forma di cui il teatro deve liberarsi,
per tendere all’universale. Vittorini indaga le ragioni
profonde dell’essere umano: perché può diventare un
assassino? Perché tende a responsabilizzare
un’ideologia ed è sempre pronto a trovare il mostro
fuori di sé, il lupo fuori di sé, come lo chiama
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