Page 15 - LA PAROLA GIUSTA - PICCOLO TEATRO DI MILANO
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PERCHÉ È IMPORTANTE
                               CONTINUARE A RACCONTARE
                               di Lella Costa









                               Cent’anni di solitudine è uscito in Italia nel 1968 e non
                               avrebbe potuto scegliere anno migliore.
                               Tra tutte le esperienze straordinarie, individuali e
                               collettive, che hanno segnato la mia piccola vita  in
                               quell’anno variamente formidabile, la lettura di quel
                               romanzo prodigioso ha lasciato un segno profondo e
                               indelebile. Ne ricordo a memoria l’incipit, anche in
                               spagnolo, e il finale. Sono stata a lungo e
                               disperatamente innamorata di Aureliano Buendía, che
                               era nato con gli occhi aperti, faceva cadere gli oggetti da
                               lontano, ed era stato capace di promuovere trentadue
                               rivoluzioni per perderle tutte. Ma tra gli infiniti episodi più
                               o meno magici, più meno straordinari, quello che allora
                               mi aveva colpito di più e che sempre ho conservato nella
                               memoria – ben prima anche solo di immaginare che
                               avrei voluto e potuto fare questo mestiere – è il racconto
                               dell’eccidio della Compagnia Bananiera.
                               Il ricordo – appassionato, furibondo, dolente – della
                               spietata esecuzione di massa di operai inermi che
                               protestavano contro le condizioni di lavoro inumane era
                               stato tramandato a voce, tenuto in vita da coloro che vi
                               avevano assistito; si era via via affievolito col passare
                               degli anni; era scomparso del tutto quando anche
                               l’ultimo testimone oculare era morto. Da storia era
                               diventato leggenda, poi mito, poi favola, poi nenia, poi
                               niente. Non ne parlava più nessuno, dunque non era
                               successo. È questa la prima cosa che ho pensato,
                               l’immagine forte che mi ha accompagnato mentre
                               questo spettacolo prendeva forma e vita. Bisogna che
                               qualcuno continui a vivere per raccontarla, come
                               avrebbe scritto lo stesso Márquez una trentina di anni
                               dopo. E come, qualche centinaio di anni prima,
                               Shakespeare aveva fatto dire da Amleto all’amico Orazio
                               che non si capacitava di dover essere l’unico a
                               sopravvivere alla carneficina finale di una delle tragedie
                               più assurde e insensate della storia del teatro (e dunque
                               eterna e irresistibile).
                               Bisogna – ancora oggi, anzi, forse oggi più che mai –
                               che qualcuno si assuma la responsabilità di trovare e

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