Page 14 - LA PAROLA GIUSTA - PICCOLO TEATRO DI MILANO
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giusta, forse, potrebbe essere impressione. Il problema
                               è un mondo in cui su queste impressioni, che
                               chiamiamo con la parola sbagliata percezione, si fanno
                               leggi: leggi impressioniste. Ecco come si sospende la
                               realtà. Cercare le parole giuste, le parole per dirlo, è un
                               esercizio che richiede pazienza, che non finisce ad un
                               certo punto. Cercare la parola giusta per dire un
                               fenomeno non è una partita di calcio, che al
                               novantesimo ti dà il risultato e finisce lì, chi ha vinto ha
                               vinto, chi ha perso ha perso. La ricerca della parola
                               giusta è una pratica. Come la percezione di sé, degli
                               altri, del tempo, dello spazio è il lavoro di una vita.
                               È una pratica di realtà. Su piazza Fontana o su piazza
                               della Loggia non riusciremo mai a stabilire verità
                               definitive. Quello che possiamo fare è cercare le parole
                               giuste per aggregare grumi di realtà che ci avvicinino alla
                               verità. Ma bisogna soprattutto non smettere di cercarle,
                               le parole giuste, perché sono delicate, sensibili,
                               cambiano continuamente.
                               Nei cinquant’anni che ci allontanano da piazza Fontana
                               e nei quarantacinque da piazza della Loggia, la storia
                               delle stragi è stata infinitamente raccontata. Molte
                               ricostruzioni giornalistiche, radiofoniche, televisive…
                               Adesso che è passato tutto questo tempo forse
                               possiamo cominciare a raccontarci l’effetto che quelle
                               tragedie hanno avuto. Non solo e non tanto l’effetto
                               politico, economico o sociale. L’effetto che hanno avuto
                               sulla vita delle persone, sulle nostre vite. E per questo
                               non ci sono che le storie. Anche i dati, le statistiche, i
                               numeri non bastano. La storia che vi racconteremo
                               questa volta non è vera. Antonio e la donna che
                               racconta non sono persone che esistono o che sono
                               esistite. Sono personaggi che ci hanno permesso di
                               addensare le storie di molti, a partire dalle nostre, di Lella
                               e mia, che all’epoca di piazza Fontana eravamo
                               ragazzini, ma c’eravamo. E la storia di Marco Archetti,
                               che invece è nato molti anni dopo. E, speriamo, anche
                               un po’ delle vostre. Quello che abbiamo fatto, oltre a
                               cercare le parole giuste, è cercare la giusta distanza da
                               quegli eventi, per provare, ancora una volta, a
                               comprenderli. Perché gli spettatori, una volta usciti dallo
                               spettacolo, abbiano voglia di andarsi a cercare dati, fatti,
                               statistiche, ma soprattutto altre storie… Personalmente
                               vorrei che il pubblico si portasse a casa la stessa voglia
                               di consapevolezza che abbiamo maturato noi,
                               facendolo, questo spettacolo.








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